Trent’anni sono passati da quando ho conosciuto l’Alligatore. L’ho amato subito, assieme ai suoi compagni, così diversi ma complementari. Marco Buratti, l’Alligatore, Beniamino Rossini e Max la Memoria: una famiglia atipica e indivisibile, ognuno con le sue rughe e la sua umanità, uniti da un codice etico fuorilegge che mi ha conquistata da subito.
L’Alligatore, complice anche il blues, mi era piaciuto così tanto che avrei voluto almeno un romanzo all’anno, non è stato così. Con il tempo ho capito che serve la storia giusta e mi sono adeguata, ho aspettato le uscite con trepidazione. Confesso che vorrei storie lunghe, moltissime pagine da leggere, ma una delle caratteristiche di Massimo Carlotto e ormai un suo marchio di fabbrica è quella di saper condensare le storie narrate, cesellando le parole. Mi piace il suo modo di scrivere anche per questo. Sto volutamente perdendo tempo ma per questo romanzo è difficile scrivere una recensione: il rischio di svelare troppo è grandissimo. Dico solo questo: succedono fatti importanti, molto importanti.
Quello di cui posso parlare è come ho trovato Marco, Beniamino e Max. Vivono insieme in una villetta sui Colli Euganei, un posto troppo tranquillo per Buratti ma tant’è, è stato scelto mentre lui era in Sardegna con Edith. Sono sempre più famiglia, il loro rapporto ruvido e cameratesco non cede ai sentimenti ma è chiaro quanto si vogliono bene, si capisce in ogni azione che fanno. Buratti ha l’innamoramento facile, è tornato dai suoi amici dopo che Edith lo ha lasciato. Beniamino fa le cose di sempre ma la perdita di Sylvie, dalla quale non si è mai ripreso, lo ha profondamente cambiato. Max è sempre impegnato in cause ambientaliste ma lo troviamo che si occupa dei suoi amici, è lui che si occupa dell’alimentazione curandola nei minimi dettagli.
La trama prende il via con un incarico apparentemente semplice: si devono occupare della consegna di un riscatto, per un rapimento anomalo che ha come protagonista una giovane donna amante di un imprenditore veneto. Esattamente nelle parole con cui cui viene descritto Loris Pozza troviamo il miglior Carlotto, con quella sua capacità di tratteggiare personaggi reali, non macchiette. …”siamo gente per bene” dice Pozza parlando di se. Una brava persona che nella vita reale abbiamo incontrato tutti, i cui confini tra legalità e illegalità sono perfettamente sfumati.
A riscatto consegnato, l’incarico potrebbe considerarsi concluso ma non sarebbe l’Alligatore, anzi, non sarebbero loro se non si preoccupassero delle sorti di Aliona, la donna rapita, quindi ecco scattare l’indagine personale, perché pur aspettandosi il peggio non possono voltarsi dall’altra parte.
L’altro aspetto di cui posso scrivere senza tema di svelare troppo è che Massimo Carlotto ci conduce in un viaggio nell’anima umana dove le certezze vacillano e il confine tra ciò che si è e ciò che si è costretti a diventare si fa labile e doloroso. È una riflessione potente e cruda su come la vita possa metterci di fronte a scelte che non ci appartengono, in un mondo sempre più violento, lasciandoci irrevocabilmente cambiati. Ho letto gli ultimi capitoli con un nodo alla gola e il cuore pieno, consapevole di stare assistendo a un cambiamento epocale per i protagonisti che amo da trent’anni, con un sottofondo di blues che amplificava il mio stato d’animo.
Ho apprezzato tantissimo il ritorno di Virna, che, per dirla tutta, mi è sempre piaciuta moltissimo …”da quando avevo rincontrato Virna non soffrivo più di quella solitudine disperata che mi affliggeva come una malattia se non potevo contare su una relazione.”
Da leggere, per gli amanti dell’Alligatore un libro indimenticabile.
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