RECENSIONE a cura di Edoardo Todaro
Il noir sta sviluppando un effetto collaterale di indubbio interesse: il legal thriller. Se il noir indaga e mette allo scoperto le contraddizioni sociali, il legal thriller si ispira e prende spunto da fatti di cronaca, anzi da vicende giudiziarie controverse. Questo è il caso di “ Solo tredici chilometri “: una ragazza austriaca, autostoppista, viene trovata senza vita,uccisa, nei pressi di Venezia, e immediatamente viene individuato il colpevole, un assassino seriale che non può fare ameno di uccideree che uccide senza capire il perchè. Marco De Vitis, agli esordi nella sua attività di avvocato ed in questo caso alla prima esperienza professionale ed “ umana “ , capisce che così non è e si impunta per trovare la verità, al di là di ogni ragionevole dubbio, dubbi utili per ribaltare impianti accusatori. Da questo principio De Vitis si ispira nel contrapporre ad ogni tesi accusatoria il dubbio. Quest’ ultimo è il principio a cui si attiene e che lo muove nella sua ricerca della verità, visto che la verità processuale e quella fattuale non collimano. De Vitis non ha modelli o metodi da seguire e per questo motivo si affida all’istinto, e fa bene, e alla fredda logica a dispetto di ogni emozione, ai libri letti più che all’esperienza fatta, senza alcuna esperienza in quanto ad interrogatori che per potersi fidare più che avvocato difensore prende le sembianze del pubblico ministero; che vuol cogliere ogni debolezza e contraddizione nella versione dell’assistito. Un avvocato alle prime armi, senza segretaria né collaboratori che a dispetto della tecnologia usa gli appunti, appunti che servono a riordinare le idee; che si rilassa e riesce a rielaborare ciò che sta facendo grazie all’ascolto di musica classica. Accardo e De Pascalis, gli autori, con queste 352 pagine, ci mettono a conoscenza di tutta i meccanismi che fanno parte di un percorso giudiziario, di una indagine: dalle udienze di convalida alla deposizione della nomina alla difesa in procura; dall’incontro in carcere con l’assistito all’interrogatorio di garanzia; rogatorie,intercettazioni,perizie, autopsie, il processo indiziario; dal guardare negli occhi i membri della corte al parlare “ a braccio “ senza leggere, visto che il compito dell’ avvocato non è avere opinioni. Tutti passaggi che servono a De Vitis nell’andare avanti, nel porre dubbi, nel trovarsi, in solitudine, al bar con una birra per fissare gli elementi fondamentali , nell’entrare nelle chiese per recuperare energie, nel footing che aiuta a prospettare ipotesi, definire scenari. Sullo sfondo di tutto questo troviamo l’Alto Adige con i suoi meravigliosi panorami, con la musica tradizionale austriaca; i quartieri operai … da sempre, con le tante fabbriche in attività; la presenza della popolazione tedesca rientrata in Alto Adige dopo la guerra; con l’esame di bilinguismo previsto dallo statuto dell’essere provincia autonoma; i cartelli stradali i due lingue; Bolzano città chiusa in se stessa e respingente verso le diversità; da una parte lingue e culture differenti dall’altra “ tutti sono minoranza da tutelare “. La determinazione di De Vitis nel voler trovare la verità; nell’inserirsi nei glangli della malagiustizia mettono in discussione anche i rapporti affettivi. Ovviamente starà ai lettori capire come le cose si muovono.