Per questi motivi. Autobiografia criminale di un paese
Gli italiani di due cose sono maestri: di calcio e di fattacci. Se al bar dello sport ciascuno è di diritto allenatore della Nazionale, ogni bar della Penisola è una camera di consiglio dove si emettono sentenze senz’appello. Altro che popolo di santi, poeti e navigatori, piuttosto di commissari tecnici e giudici mancati. Eppure, la ricerca della verità è un incerto procedere nel labirinto in cui si rincorrono verità ufficiali, “altre” verità, verità inconfessabili, verità dei tribunali. È così da sempre, da prima che la tv cominciasse a trasmettere. Ed è così ancora oggi che sul web “giudici” spietati additano colpevoli, riaprono casi passati in giudicato e confutano sentenze. Tutto vale, ormai. La storia d’Italia si scrive con il sangue e Giancarlo De Cataldo la ripercorre attraverso alcuni delitti emblematici che restituiscono il mutare delle epoche. Per Questi Motivi è il racconto di vittime eccellenti, carnefici d’occasione e misteriosi mandanti, di complotti ipotetici e depistaggi fin troppo reali. Ed è la storia dei cacciatori di verità: di giornalisti con pochi scrupoli nel cuore e tanto pelo sullo stomaco, di poliziotti che vedono lontano rimanendo inascoltati e di giudici che provano a districarsi tra indizi, prove e perizie di parte. “Per questi motivi” è anche la formula con la quale si introduce la lettura del verdetto, al termine di un processo, e che riassume il senso di un faticoso cercare. L’autore di Romanzo criminale passa dalla spiaggia di Torvajanica su cui l’11 aprile 1953 fu ritrovato il corpo di Wilma Montesi all’Idroscalo di Ostia, dove fu massacrato Pier Paolo Pasolini. La morte della modella Christa Wanninger nella via Veneto della “dolce vita”, la stagione della lotta armata, l’attentato alla sinagoga di Roma, l’omicidio di Simonetta Cesaroni e certi recenti, inimmaginabili fatti di sangue compongono alcuni dei capitoli di un libro dalle inedite tinte rivelatrici, che incrocia ricordi personali e memoria civile, ossessioni private e fantasmi collettivi. Magistrato fino al 2022 e padre nobile della crime fiction italiana, De Cataldo scrive le sue pagine più attese, ribaltando la simenoniana Lettera al mio giudice nella dolorosa confessione di chi esercita quello che è considerato il più controverso, discusso e odiato dei poteri costituzionali. Il problema non è più quello di trovare le prove, come pensava Pasolini, e nemmeno i nomi. Le une e gli altri, noi italiani, li conosciamo, almeno dai tempi di Montesi. Il problema è semmai: che uso abbiamo fatto, in tutti questi anni, di quelle prove e di quei nomi?
L’ansia di giustizia non può essere appagata da una condanna purchessia

È stata la copertina che mi ha chiamato. Scorrendo le novità della biblioteca (sempre benedetta!) mi fermo e guardo bene, facce conosciute, crimini che hanno segnato l’Italia, in alcuni casi racconti sentiti in casa. Giancarlo De Cataldo è una garanzia e il titolo mi incuriosisce. Non so cosa aspettarmi esattamente e leggendo capisco che si tratta di un libro fra saggio, cronaca e diario di un uomo che ha passato la sua vita lavorativa nella magistratura e, come dichiara nel libro, si è occupato per 25 anni di omicidi.

Nella nota iniziale De Cataldo racconta il perchè di questo libro e conclude con: “Me ne sono andato dalla magistratura il primo giugno 2022. La giustizia che lascio è molto diversa da quella che avevo incontrato da giovane uditore nel 1985. Ho visto le trasformazioni compiersi sotto i miei occhi, e non è stato necessariamente un progredire verso più luminosi destini. Forse un giorno ne scriverò.” Spero proprio che ne scriva, il suo è il punto di vista di una persona competente che sarà interessante leggere.

De Cataldo racconta di come si arrivi a formulare la sentenza, ma anche quale possa essere stato il ragionamento dei giudici. La scelta dei casi di cui narra, è motivata dall’interesse che hanno suscitato in lui e che hanno avuto un forte impatto anche nell’opinione pubblica.

Si parte con il caso di Christa Wanninger (al caso, De Cataldo ha dedicato un libro, “Dolce vita, dolce morte”, per la collana Novelle Nere di Rizzoli, 2023), si prosegue con Pasolini, Wilma Montesi, Terry Broome, Simonetta Cesaroni e altri ancora, intervallando i casi con il racconto della sua formazione, dei suoi interessi, della sua famiglia. È la cronaca che irrompe nella narrazione, sono delitti che hanno raggiunto le prime pagine, che sono stati discussi e seguiti in tempi nei quali la televisione era meno invasiva, ci raccontano di un’Italia da Dolce Vita ma non solo, come scrive l’autore forte è il legame tra cronaca nera e gialli: non ci inventiamo mai niente, semmai interpretiamo

Per ogni caso raccontato a fine capitolo una bibliografia che permette,a chi abbia voglia, di approfondire.

È Il racconto di una certa Italia, diversa da quella di oggi, com’è giusto che sia, attraversata da una tensione morale che ne faceva un Paese vivo, curioso e proiettato verso il futuro. Allo stesso tempo è una sorta di diario personale, interessante e ben scritto.

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