MADRE D’OSSA
Il commissario Teresa Battaglia ha perso davvero la sfida più grande di tutte contro la sua memoria? Sembra di sì. È questo che pensano i colleghi e chi le vuole bene. È questo che pensa anche Massimo Marini, che dopo aver ricevuto una chiamata anonima si è precipitato in mezzo alle montagne. Lì, dove un feroce crimine potrebbe essere stato compiuto, trova il cadavere di un ragazzo fra le braccia di Teresa. Massimo sa che quella è una scena del crimine e che il commissario Battaglia non dovrebbe trovarsi lì. Sa che ha compromesso il ritrovamento e alterato gli indizi. Ma forse non è davvero così che stanno le cose…
L’inferno è un luogo umano

In questo romanzo ritroviamo Teresa Battaglia arresa alla malattia, dopo aver risolto un caso particolarmente complicato, si è prima presa un periodo di congedo straordinario alla fine del quale non è rientrata in servizio. L’Alzheimer galoppa e l’unico modo per non suscitare pietà in quanti la conoscevano e frequentavano è stato quello di farsi da parte. Supportata dalla sua famiglia allargata, la sua squadra, composta da: Marini, Parisi, De Carli, dal dottor Parri, con il supporto di Alice e il suo cane Smoky, di Elena e con la presenza costante di Gai Meo, la psicoterapeuta, ormai un’amica, Teresa prova a vivere la sua condizione al meglio possibile. Dalle prime righe si comprende che non tutto è ancora finito: Marini, il giovane ispettore la trova sulla scena di un probabile crimine e nel giro di pochi istanti deve decidere come gestire la vicenda.

Ilaria Tuti questa volta partendo dalla morte di un giovane, Ratchis Evaldi, ci racconta molto altro: un culto mistico, atti autolesionistici, madri scomparse, ritrovamenti di ossa, tradimenti.

La squadra deve indagare, prima di tutto per capire cosa ci facesse la commissaria al lago di Cornino, come ci fosse arrivata e poi su quanto succede attorno e durante l’indagine, cercando, per quanto possibile di proteggere Teresa Battaglia.

È un romanzo con un retrogusto dolce-amaro, il decadimento cognitivo di Teresa sembra accelerare, ma proprio per questo le persone che più le sono vicine si dimostrano famiglia, la proteggono prima di tutto da se stessa. Al di là della trama, che è strutturata molto bene, ho trovato dolorosamente coinvolgente il racconto. Con grande delicatezza, Tuti descrive una serie di elementi che caratterizzano la vita con una persona affetta da Alzheimer, condizionando la vita di tutti. Il senso di protezione, l’affetto, l’empatia, la collaborazione fra i personaggi che ruotano attorno a Teresa, per me, sono gli elementi che fanno di questo libro una lettura interessante. Al racconto della progressione della malattia, dello smarrimento di tutti, si affiancano i colpi di scena, le indagini, la consapevolezza in Teresa del suo decadimento cognitivo.

Lo stile è quello a cui ci ha abituati Ilaria Tuti, una scrittura decisa, vivace, le scene descritte molto coinvolgenti. Primaria importanza rivestono i luoghi, che si rivelano coprotagonisti della vicenda come scrive Tuti nelle note … “questo Friuli antico e misterioso da cui attingo a piene mani per la creazione delle mie storie.” e ancora: … tranne un’eccezione i luoghi citati nel romanzo sono reali, il fascino e il mistero che li ammanta tangibili.”

È proprio così, conosco alcuni luoghi che Ilaria Tuti descrive e leggerne mi ha riportato alla mente ricordi persi nel tempo.

Leggendo non ho potuto fare a meno di riflettere sulla qualità del tempo da passare insieme, quello di Teresa che prova a sottrarlo alla malattia, della sua squadra che non la lascia sola e le ha costruito attorno una rete di protezione.

…”Non sapeva se poteva definirsi felice, forse no, non era possibile, non sempre, ma aveva raggiunto una condizione ancora più rara. Era in pace.”

Da leggere.

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