Le carte di Tony Veitch
“La buona notizia è che Laidlaw è tornato, il poliziotto di Glasgow che ha fegato e che conosce la sua giungla come il palmo della sua mano callosa. Un criminale accoltellato, un rantolo dal letto di morte di un vecchio ubriacone, con i polmoni in scorie dal diserbante che era stato aggiunto nella sua bottiglia, una spaventosa sgualdrina italiana, una signora aristocratica alla ricerca di brividi probiti, la vittima in fuga, un mosaico che prende una forma brutale… l’interpretazione di questo mondo sotterraneo ricco di gergo, prepotenti e uomini duri, vittime e turisti, e della vera natura della violenza, costituisce un risultato di grande forza narrativa.” The Observer
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Traduzione di Carmine Mezzacappa e Roberta Buffi

William McIlvanney è considerato dalla critica il padre del tartan noir, il precursore cioè di un genere di scrittura gialla di ambientazione scozzese. È un autore che si può identificare con la sua città, Glasgow, che è uno dei personaggi principali della trilogia dedicata all’ispettore Jack Laidlaw, di cui questo Le carte di Tony Veitch è il secondo in ordine di apparizione ma che si può leggere indipendentemente dagli altri.

Glasgow: “la città con il viso controvento, indurito in una smorfia”. McIlvanney scrive una lettera d’amore per la sua città, dove vede violenza e oscurità, ma anche coraggio, umorismo e integrità, in definitiva una summa della sua gente, buona e cattiva.

“Quella era Glasgow. Un luogo così gentile da mettere al tappeto la crudeltà. Eppure la crudeltà era ciò che continuava a ricevere dalle circostanze. Nessuna meraviglia che Laidlaw amasse quella città che danzava tra le macerie. Il giorno in cui Glasgow si fosse arresa, il mondo poteva anche finire.”
McIlvanney non racconta una storia lineare con sequenze d’azione frenetiche per mantenere l’attenzione del lettore, crea invece una storia stratificata, ricca di osservazioni digressive e filosofiche affidate al proprio ispettore attraverso una prosa rarefatta, ma evocativa. Un mondo pieno di grigi, piuttosto che di bianchi e neri. Fa acclimatare nell’inverno scozzese e dissipare il fumo denso dei pub prima di descrivere l’azione, quasi volesse travalicare il noir usando la compostezza dei personaggi per contrastare il ritmo da hard boiled americano. I dialoghi mostrano in controluce il carattere della città con la sua gentilezza che deve essere tenuta accuratamente nascosta per non sembrare morbida e con i cattivi che sono estremamente duri senza cadere nella caricatura. Una citazione a parte meritano le tante similitudini sparse nel testo, forse fin troppe, spesso caustiche.

Un giornalista del Glasgow Herald avvisa l’ispettore Laidlaw che un senzatetto, ricoverato presso il pronto soccorso del Victoria Infirmary, ha chiesto ripetutamente di parlare con lui. Quando giunge in ospedale, Eck Adamson farà solo in tempo a dirgli che “il vino non era vino” e il medico di turno gli confermerà che l’uomo è stato avvelenato. La morte del clochard scuote Laidlaw nel profondo sia per le misere condizioni in cui si è verificata, sia per il ritrovamento di un foglietto con degli strani appunti tra gli effetti personali di Eck, che lo condurranno verso Tony Veitch, uno studente universitario scomparso da giorni. Il nome di un pub, un numero di telefono, due nomi appartenenti l’uno alla malavita, l’altro alla nobiltà e una sofferta disquisizione sull’idealismo. Laidlaw andrà avanti nelle indagini forte solo delle sue convinzioni e della sua intuizione, raccogliendo quella sorta di testamento spirituale che sembra accomunare il vecchio e il ragazzo scomparso. Il suo partner, Harkness, e il resto dei colleghi della polizia pensano, invece, che sia più importante la guerra tra bande che si è scatenata piuttosto che la morte di quell’insignificante barbone, al quale anche l’amico giornalista nega un trafiletto di necrologio. Gli scritti dello studente si riveleranno preziosi per capirne la personalità e lo svolgimento dei fatti e offriranno a Laidlaw l’occasione per riflettere sul proprio idealismo che convive col dubbio, non cede al cinismo, continuando ad affrontare il male, molto diverso dall’idealismo del ragazzo troppo astratto e slegato dalla realtà.

Laidlaw è un uomo semplice, un brav’uomo che cerca di dare un senso al mondo duro e violento in cui vive, cercando di trovare giustizia per le persone lasciate ai margini. Non è un solitario, ma si trova un po’ in disparte dal mondo, è un osservatore con un occhio compassionevole, un filosofo. I superiori non lo tollerano, il suo partner non lo capisce, la moglie non lo sopporta più. Pieno di sensi di colpa, non riesce costantemente a essere l’uomo che vorrebbe essere, e di questo è consapevole. Crede ancora nella sua religione laica, quella per cui l’unica strada verso la redenzione passa attraverso la giustizia e la cura per il prossimo, chiunque esso sia, compresi i clochard ubriaconi.

L’autore in un’intervista ha sostenuto che il suo personaggio ha come missione quella di sopravvivere con dignità e decenza. L’umanità di Laidlaw e il suo fiuto da piedipiatti di strada, alla fine, lo aiuteranno a risolvere i casi contro lo scetticismo di tutti, la verità verrà finalmente a galla, pur arrivando in ritardo per salvare le vittime.

La potenza del personaggio e quindi dell’autore sta nell’onestà intellettuale che lo contraddistingue: i criminali hanno una loro profondità e anche se sbandati, spietati e crudeli, fanno parte dell’umanità e buoni e cattivi sono tutti legati e in qualche modo responsabili l’uno dell’altro.

Le riflessioni che scaturiscono dalla lettura non appesantiscono la storia che parla soprattutto d’amore: l’amore di una sorella per il fratello che si è perduto nell’alcolismo e nel vagabondaggio, l’amore di un figlio che protegge i propri genitori dall’apprendere la verità sul fratello, l’amore per una donna che porta un uomo a distruggere la propria vita. E soprattutto l’amore per una città piena di contraddizioni dove la gentilezza e la crudeltà si incontrano frontalmente.

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