Raccontare questo testo senza lasciarsi sfuggire anticipazioni, che potrebbero rovinare la lettura, non è cosa facilissima, è la storia di una donna e del momento in cui prende coscienza di sé comprendendo cosa ha determinato il suo agire nei primi quarant’anni di vita. Dall’autolesionismo della bulimia all’incapacità di creare relazioni sentimentali stabili, per arrivare alla scelta di diventare una madre sola, ricorrendo alla banca del seme in Spagna.
L’autrice sceglie una narrazione in prima persona su diversi piani temporali, abbiamo Adele del tempo presente, la sua versione bambina e adolescente con linguaggi e modi di esprimersi diversi, secondo la versione della protagonista che parla in un dato momento.
La scrittura, però, si rivela ostica in alcuni frangenti perché non sempre è chiaro quale “Adele” stia parlando non essendoci paragrafi distinti, grazie ai quali il lettore sarebbe stato favorito nell’individuare il passaggio da un piano temporale all’altro.
Si affrontano temi delicati e profondi ma l’autrice non li sviscera mai davvero. Alcuni personaggi, ad esempio i fratelli della protagonista, risultano deboli nella loro costruzione e presentati solo come figure di contorno mentre sarebbe stato bene dare loro un’identità precisa. Anche il modo in cui Adele supera la sua bulimia è descritto in modo superficiale e, a mio avviso, banalizzato.
Contiene, comunque, riflessioni meritevoli di considerazione ma mi sarei aspettata un altro livello di approfondimento su temi trattati.