Il grembo paterno
Ci sono persone che, quando le incontriamo, “ci bussano al sangue”: e Adele, incontrando Nicola, ha la certezza di avere trovato la persona con cui sentirsi finalmente intera. Ma quando l’intesa tra loro comincia a vacillare, sente prepotente il bisogno di confrontarsi con il proprio passato. Così, in una notte fatale che segnerà per sempre il destino dell’umanità, Adele torna al paese dove è nata, marchiata da un soprannome, Senzaniente, che è pesato sulla sua famiglia perfino dopo che il padre, Rocco, ha sfidato la miseria e conquistato il benessere. La storia fra Adele e Nicola s’intreccia allora alla storia di Adele e suo padre, in una spola sempre più serrata fra passato e presente, dove quello che ci è stato tolto quand’eravamo bambini rischia di diventare l’unica misura di quello che il mondo ci potrà offrire. Nessuno dei personaggi di questo romanzo riesce a tenere stretto quello che è convinto di desiderare, mentre l’intrinseca violenza delle relazioni si mescola alla loro intrinseca dolcezza. E una televisione sempre accesa si prende gioco dello sforzo di tutti di credere alla propria esistenza. Chiara Gamberale risale all’origine delle nostre domande sull’amore, in quella terra scoscesa dove abbiamo cominciato a essere la persona che siamo, per regalarci le sue pagine più potenti, commosse e ispirate.
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Raccontare questo testo senza lasciarsi sfuggire anticipazioni, che potrebbero rovinare la lettura, non è cosa facilissima, è la storia di una donna e del momento in cui prende coscienza di sé comprendendo cosa ha determinato il suo agire nei primi quarant’anni di vita. Dall’autolesionismo della bulimia all’incapacità di creare relazioni sentimentali stabili, per arrivare alla scelta di diventare una madre sola, ricorrendo alla banca del seme in Spagna.

L’autrice sceglie una narrazione in prima persona su diversi piani temporali, abbiamo Adele del tempo presente, la sua versione bambina e adolescente con linguaggi e modi di esprimersi diversi, secondo la versione della protagonista che parla in un dato momento.

La scrittura, però, si rivela ostica in alcuni frangenti perché non sempre è chiaro quale “Adele” stia parlando non essendoci paragrafi distinti, grazie ai quali il lettore sarebbe stato favorito nell’individuare il passaggio da un piano temporale all’altro.

Si affrontano temi delicati e profondi ma l’autrice non li sviscera mai davvero. Alcuni personaggi, ad esempio i  fratelli della protagonista, risultano deboli nella loro costruzione e presentati solo come figure di contorno mentre sarebbe stato bene dare loro un’identità precisa. Anche il modo in cui Adele supera la sua bulimia è descritto in modo superficiale e, a mio avviso, banalizzato.

Contiene, comunque, riflessioni meritevoli di considerazione ma mi sarei aspettata un altro livello di approfondimento su temi trattati.

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