Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi
«Tutti quei morti ammazzati, e io ancora senza giustizia». Serve coraggio quando si parte, ma a volte ne serve ancora di più quando si torna. È il luglio del 1940, l’Italia è in guerra. Ricciardi – preoccupato per la figlia Marta e per i suoceri, in grave pericolo a causa delle origini ebraiche – ha ormai trasferito la famiglia a Fortino, il paese dove è nato. Lì, nei luoghi dell’infanzia, sperava di avere un po’ di quiete. Invece, mentre in città il fido brigadiere Maione cerca di salvare un comune amico da morte certa, tra le montagne del Cilento il commissario è messo faccia a faccia con un passato che avrebbe voluto scordare. Per lui, e non solo per lui, è arrivato il momento di regolare i conti con la propria storia. Del resto è questo, quasi sempre, il destino di chi torna.
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Tornare è come partire facendo un viaggio a ritroso nel tempo. È il momento del riscatto, della pace, del ricongiungimento. Laddove torniamo potremmo non trovare sorrisi ad accoglierci, i luoghi a volte sono testimoni di grandi passioni e tormenti, le emozioni che li hanno animati restano in attesa di un cuore pronto a farle vibrare ancora.

È il romanzo del ritorno Volver. È un tango doloroso che canta Diego a una donna che da anni dice di chiamarsi Laura. È fuggita e si è costruita una vita altrove dopo gli schiaffi che l’hanno resa un fantoccio senza più valori o volontà. Deve tornare perché solo nel suo mondo troverà la quiete che tanto anela.

È il ritorno di un uomo dagli occhi di vetro, colui che negli anni abbiamo seguito nella sua lunga e sofferta educazione sentimentale. È un padre amorevole, un vedovo fedele e un genero pronto a tutto per salvare la sua famiglia. Torna Ricciardi a Fortino, alla sua casa di infanzia per scampare alla follia della guerra e delle leggi raziali. Lo segue Nelide che ormai è più tata Rosa di quanto Rosa stessa sia mai stata.

C’è la piccola Marta, spettatrice che tiene i fili degli animi della famiglia. Sempre allegra e curiosa sa leggere negli occhi, sa ascoltare chi da sempre non ha potuto né parlare né sentire. La vecchia Filomena che siede all’ombra di un grande albero beandosi di un silenzio che la vita le ha imposto e nel suo silenzio racconta una storia mentre Marta danza sulle note del tempo alla scoperta di antichi segreti e grandi passioni. Un dialogo muto e di una poesia senza eguali.

C’è chi parte e chi resta. A Napoli la paura e la povertà la fanno da sovrane. Il brigadiere Raffaele Maione vive la città come fosse un estraneo, senza la guida di Ricciardi si sente perso e, alla soglia dei sessant’anni il peso di cotanta decadenza fatica a farsi portare

“Era come se all’improvviso, a partire dal settembre 1938, fosse spuntato dal nulla un crimine nuovo non previsto dal codice penale, che poteva essere punito da chiunque senza passare per il tribunale”.

Vi chiederete che fine abbia fatto Bambinella. Non temete Ricciardiani, è sempre lì nella sua casa alla fine di una salita che quasi quasi fa secco Maione nel tentativo di raggiungerla. I tempi sono duri per chi vive nel limbo dell’identità, gli episodi di omofobia non si contano più e Bambinella potrebbe correre rischi ma nonostante tutto resiste, non si copre, fiera della sua essenza illumina il quartiere che la protegge

“Qua sto tranquilla, credetemi. E se qualcuno di qua sopra dovesse denunciarmi, allora mi possono pure venire a pigliare, perché in un mondo così non ci vorrei campare più”

Il caro Modo ormai è in pensione ma il suo impegno antifascista non si quieta mai. Vive la Napoli povera e maltrattata che Maione cerca di “aggiustare”, vive la solitudine di una vita passata a prendersi cura degli altri e poco di sé stesso.

Ma tornare implica anche fare i conti con ciò che si è lasciato. Ricciardi ha scelto una vita lontana dal suo paese natio e una professione che potesse rendere giustizia a quelle evanescenze che lo tormentano di continuo. A Fortino lo aspetta il passato e benché abbia dato le dimissioni resta un uomo di legge e l’abitudine all’indagine si fa prepotente quando a dover essere risolto è un caso antico che ha scritto anche la sua di storia.

Volver chiude un ciclo, la trilogia del Tango. Tre romanzi per ritrovare la poeticità della scrittura di de Giovanni e le atmosfere che hanno caratterizzato una delle serie letterarie più belle di sempre. Con Caminito e Soledad abbiamo conosciuto Ricciardi in una veste nuova, abbiamo imparato ad amare Marta, ci siamo stretti in un muto abbraccio al cavalier Colombo. In Volver l’epilogo, quasi una “decostruzione” dell’impianto narrativo dei precedenti quattrodici romanzi. Non c’è nulla di ciò che eravamo abituati a leggere, i personaggi hanno dovuto reinventarsi a causa degli eventi politici e sociali di quegli anni, la guerra, la paura, la necessità di salvare i propri cari.

Alcune storie non ci abbandoneranno mai. Forse de Giovanni non scriverà più di Ricciardi ma continueremo ad amarlo e a sperare un po’ di pace per il suo fragile cuore.

Alla fine di un viaggio, resta la consapevolezza di aver visto paesaggi meravigliosi e questo, è stato un viaggio indimenticabile.

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