A Marco Della Croce è congeniale scrivere serie. Lo ha fatto nei tre libri dedicati al commissario Sbrana (di cui aspettiamo con ansia l’uscita del quarto), e ha ripetuto questo esercizio letterario con il commissario De Santis, il cui primo capitolo, “Nero come la neve”, è stato pubblicato nel 2023 e il secondo, “Un oscuro delitto”, è uscito da pochi giorni nelle librerie.
Questa scelta narrativa, a mio avviso, potrebbe essere tacciata di strategia commerciale, in quanto, se i lettori si affezionano al personaggio comprano più volentieri il nuovo libro.
Potrebbe però essere anche un’arma a doppio taglio, perché si rischia di perdere in freschezza, in brillantezza, col pericolo di incorrere in ripetizioni, riproposizioni di situazioni che, se lette per la prima volta, ammaliano, la seconda rischiano di annoiare e la terza creano disappunto nel lettore (cose che, purtroppo, è capitata a molti scrittori).
Fortunatamente a Marco Della Croce questo non è successo né nella prima serie dedicata al commissario Sbrana, né ora. Questo secondo capitolo dedicato al commissario De Santis mi è sembrato infatti il naturale proseguimento della storia precedente, un unico libro che continua, come se, invece che lo scrittore a loro, siano i suoi personaggi ad essersi affezionati a lui.
Cosa dire della storia. È sicuramente un giallo, ma non è privo di profonde tonalità noir. È ambientato nel 1940 e si svolge nella settimana che precede l’entrata in guerra dell’Italia.
Un cadavere brutalmente sfigurato viene rinvenuto in un canale e presto si scopre che si tratta di una persona di spicco in città, un benefattore che ha aiutato economicamente molte persone bisognose, comprese alcune associazioni caritatevoli.
Chi l’ha ucciso? E perché si è accanito così brutalmente su di una persona così rispettabile?
Il commissario De Santis comincia a indagare e, piano piano, si dipana una bellissima quanto intricata storia che coinvolge direttamente e indirettamente molti personaggi, scavando nel contesto sociale di una città e una Nazione così lontane dai nostri giorni, ma per certi versi anche vicine, perché i meccanismi psicologici che si attivano nell’animo umano quando un evento straordinario innesca un processo distruttivo che sfocia in eventi criminosi, sono atavici, ce li portiamo dentro nel bagaglio genetico.
Lo stile è ricercato, curato in ogni dettaglio e la bravura dello scrittore ci porta direttamente sulla scena, ce la fa sentire nostra, ci fa respirare gli odori, portandoci per mano fra le vie di una città di quasi ottantacinque anni fa, grazie a una rigorosa ricostruzione storica. Il tutto senza fretta, senza cadere nell’errore di aumentare il ritmo per l’esigenza di scoprire una verità che è a portata di mano ma ci sfugge, e quando finalmente arriva ci sorprende.
In conclusione, rifacendomi alla premessa, credo che questo romanzo sia riuscito perfettamente e, in barba all’opacizzazione che incombe sui romanzi seriali, credo che sia ancora più bello e convincente del precedente “Nero come la neve” che, comunque, possedeva anch’esso entrambi le virtù.
Consigliatissimo a chi ama leggere romanzi storici, e anche a chi, semplicemente, ama leggere bei romanzi.