Recensione a cura di Dario Brunetti
Torna una delle più pregevoli firme del noir-hard boyled all’italiana col terzo romanzo dedicato all’imprevedibile investigatore privato Manlio Rune; sto parlando chiaramente di Ezio Gavazzeni.
Rosso notte è proprio quel colore che contraddistingue l’insegna di un bar che annega in una pozzanghera, ci troviamo nuovamente in una Milano notturna dove il protagonista è alle prese con due indagini parallele: la morte inspiegabile di un pugile neocampione e le strane sparizioni di ragazze minorenni.
Cosa collega realmente due fatti apparentemente estranei tra di loro?
Due nuovi casi per Manlio Rune, due matasse da sbrogliare, in un mondo circondato dal malaffare, dal vile denaro delle scommesse che decide il destino delle persone e le vite di minorenni che hanno un prezzo molto alto.
Un romanzo forte e coraggioso dell’abile Gavazzeni che, servendosi di una lente di ingrandimento, sviscera aspetti negativi di particolare rilievo di una società sempre più allo sbando.
L’autore ci serve un noir di notevole fattura con un personaggio come quello di Manlio Rune, a cui il lettore ormai è decisamente affezionato: un uomo tenebroso e sfuggente sempre circondato da donne che riescono sempre a farsi notare, mettendo in evidenza la loro grazia muliebre alla quale è difficile resistere.
In questa terza avventura non manca l’azione, le indagini del protagonista sono serrate e molto elaborate, ma alla fine la giustizia, quella vera, avrà sempre l’ultima parola.
Se dovessi rileggere questo romanzo lo farei certamente molto volentieri e forse come piace al sottoscritto, di notte con un lume che riflette sulle pagine che scorrono, con un sottofondo leggero di musica jazz e se fossi un fumatore non mi farei mancare una Pall Mall proprio come il protagonista. Direi che sarebbe la giusta atmosfera e Manlio Rune sarebbe più che contento, magari riuscirei a strappare un sorriso pure al buon Gavazzeni che penso approverebbe, perché un vero amante del noir ha bisogno dell’ambiente necessario, quindi perché non crearselo?
Bob Dylan cantava “Man in the long black coat” e Rune me lo immagino mentre scorrono le note di questo indimenticabile brano del menestrello di Duluth in una Milano notturna, munito di cappello e sigaretta, con quel passo da uomo solitario, mentre si avvicina al suo locale che abitudinariamente frequenta.
Potrebbe anche essere la colonna sonora di apertura di un film? Chissà!!!
Gavazzeni riesce proprio in questo: a farci vivere le giuste atmosfere, a farle nostre e a concederci i giusti momenti con quella giusta dose di fantasia e di immaginazione.