Non aprite quella morta
Dai jinn infuriati alle ombre malevole, dagli spettri di antichi viaggiatori fino ai mutaforma succhiatori di anime, Joe R. Lansdale e sua figlia Kasey danno vita alle avventure di un duo di detective donne come non si era mai visto nella letteratura del sovrannaturale. Che si tratti di un faro maledetto, di una villa infestata in Italia, di un inquietante sfasciacarrozze in Texas o di un sinistro villaggio sotterraneo, Dana Roberts e la sua assistente Jana si ritrovano ogni volta a indagare su casi inspiegabili e parecchio pericolosi. Ad assisterle, oltre all’intuito infallibile e un ingegno analitico che tanto ricordano quello di Sherlock Holmes e John Watson, una serie di preziosissimi oggetti-amuleti: acqua santa, candele fatte di grasso umano, polveri benedette, terra di cimitero e vari strumenti di magia che acquistano potere grazie alla fede di chi li possiede. Qualsiasi cosa pur di impedire agli esseri provenienti da altre dimensioni di creare scompiglio nel nostro mondo. Una raccolta di storie inedite popolate da personaggi memorabili che colloca Joe e Kasey Lansdale al fianco dei maestri dei libri dell’orrore.
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Recensione a cura di Roberta Castelli

Inizio dicendo che questo libro mi è piaciuto molto e lo consiglio a chi è in cerca di una lettura non troppo impegnativa e scorrevole. I racconti sono sette: i primi quattro scritti da Joe R. Lansdale; i restanti tre, invece, sono il frutto di una piacevole collaborazione tra l’autore e sua figlia, Kasey Lansdale.

La prima protagonista che incontriamo, iniziando a esplorare queste nuove dimensioni, è Dana Roberts. Accolta in un club maschile, da poco aperto anche a qualche donna, Dana viene invitata come ospite d’onore per raccontare una delle sue incredibili storie; quelle che lei, di solito, vende a caro prezzo e che hanno permesso al suo conto in banca di gonfiarsi a dismisura. Il club si riunisce una volta al mese per chiacchierare, bere e mangiare, ospitando qualcuno, di tanto in tanto, sotto lauto compenso, per animare l’atmosfera.

Dana è una donna molto bella, sulla quarantina, e si occupa di sopranormale… non soprannaturale, come ama specificare lei stessa, motivando questa distinzione con una spiegazione alquanto bizzarra:

“Uso la parola sopranormale in contrapposizione a soprannaturale semplicemente perché credo che il sopranormale indichi che le cose che chiamiamo soprannaturali hanno una spiegazione naturale, che risulta innaturale solo perché dobbiamo ancora comprenderne la vera natura.”.

Durante il primo incontro nel club, la sua introduzione alla storia conquista anche il membro più scettico:

“Se guardate tutti quegli spettacoli sui fantasmi e la gente che dice di predire il futuro, o di poter trovare cadaveri o persone scomparse, rimarrete delusi. Non sopporto quei fachiri. Ciò che faccio è reale, e la verità è che non mi interessa se mi crediate o meno. Vi parlerò del mio caso più recente, e voi ne farete ciò che vorrete”.

Dana non si definisce una sensitiva, né una cacciatrice di fantasmi, bensì una detective del sopranormale. Molti dei casi che è chiamata a risolvere, ci spiega, non hanno niente a che vedere con manifestazioni pericolose di strana provenienza e celano origini molto terrene: un topo in soffitta, per esempio, o dei bambini che lanciano piatti per attirare l’attenzione, raccontando poi che è stato il diavolo a farlo. A volte, però, dietro agli strani eventi si nasconde altro, ed è lì che entra in gioco la sua esperienza.

Dana è atea, non è religiosa e non crede in Dio; crede però che gli oggetti utilizzati da coloro che nutrono una grande fede verso qualcosa, abbiano un gradissimo potere e li utilizza spesso per combattere le entità che cercano di oltrepassare il confine. Tra le varie stranezze in suo possesso, troviamo le immancabili candele fatte con grasso umano; grasso che viene acquistato dopo le operazioni di liposuzione, grazie alla disponibilità di medici compiacenti.

Joe R. e Kasey Lansdale sono in grado di creare la tensione che ci si aspetta leggendo storie del genere, riuscendo anche a inserire note ironiche all’interno di un contesto che di ironico non ha niente. Questa sferzata di humor si percepisce molto di più con l’ingresso di Jana, un personaggio che trovo esilarante. La donna diventa per puro caso, o fortuna, o sfortuna, l’assistente di Dana e si muove in un quadro atipico, con atteggiamenti che invece sono tipici di chi non sa dove mettere le mani. Se da un lato abbiamo Dana, che ostenta senza pudore tutta la sua esperienza, diventando a volte antipatica, dall’altro abbiamo Jana, che potremmo definire con semplicità “una di noi”. È interessante la descrizione del personaggio che l’autrice ci regala nella sua introduzione:

“Indipendentemente dalla situazione, Jana tende ad avere uno sguardo più leggero e compassionevole. La sua empatia si estende spesso a coloro che non la meritano, e a coloro a cui Dana non concederebbe neanche un minuto dei suoi pensieri. Jana è divertente, coraggiosa, arguta e gentile. È chi voglio essere, chi riesco a essere nelle mie giornate migliori.”

Come possiamo immaginare, a Dana non vanno molto a genio gli atteggiamenti di Jana e, spesso, ci tiene a sottolineare il proprio ruolo, con frasi del genere: “ Sono io l’esperta. Lei è la mia assistente.” Insomma, è facile intuire chi, tra le due, ispiri maggior simpatia.

Le creature che vediamo alternarsi in questi racconti sono molteplici e tutte estremamente inquietanti. Non vorrei mai incontrarne una, per intenderci. La caratteristica che ho apprezzato molto in questa raccolta è il filo conduttore comune: nonostante siano storie indipendenti tra loro, regalano la sensazione di “romanzo unico” a chi decide di leggerli di fila. In genere, quando ho tra le mani un’antologia, non riesco a mescolare senza interruzioni le storie e i personaggi che si alternano, ma qui non sono riuscita a smettere, fino alla fine.

Uno dei racconti è interamente ambientato in Italia, a Roma, ed è divertente osservare le due protagoniste alle prese con le abitudini locali: l’orario della cena, per esempio. Mi ha fatto sorridere anche la loro percezioni degli italiani, visti come grandi mangiatori di formaggio.

Per concludere, vorrei inserire una considerazione personale. Mi è capitato di leggere lamentele, perché questo libro non rispecchia i precedenti di Lansdale. Ecco… io credo che ogni autore debba sentirsi libero di scrivere quello che gli pare, quando gli pare e come gli pare, senza sentire l’obbligo di dover competere con le sue precedenti opere. I romanzi di questo tipo non hanno grosse pretese… prendeteli per quello che sono: un modo piacevole di trascorrere qualche ora, immersi in racconti irreali. La continua e spasmodica ricerca di un confronto penalizza sia i lettori che le storie.

Vi auguro buona lettura, salutandovi con una frase di Jana:

“Aggiungo che fu con triste determinazione che rifiutai una ciambella, anche se poi ci ripensai per due giorni.”

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