Milano odia. La polizia non può sparare. Storia di un cult nell’Italia degli anni settanta
Si può raccontare un’epoca attraverso un singolo film? A volte sì, soprattutto quando certe pellicole entrano a far parte del nostro immaginario quotidiano influenzando il linguaggio, i costumi e i suoni. Così è stato per il cinema poliziesco degli anni settanta e per uno dei film più importanti di quella stagione: Milano odia: la polizia non può sparare, datato 1974, con la regia di Umberto Lenzi e Tomas Milian, Henry Silva, Ray Lovelock come protagonisti. Il volume monografico che Paolo Spagnuolo dedica a questo film-cult è una vera miniera d’oro per gli appassionati di cinema. Il progetto originale è stato discusso insieme al regista, poco prima che spirasse e gran parte dei materiali provengono dal suo archivio e da quello degli eredi della Dania Cinematografica, che lo hanno fornito in esclusiva. Tra questi: la sceneggiatura dattiloscritta, il soggetto, la documentazione sulla colonna sonora composta da Ennio Morricone, le fotografie di scena in originale (quasi tutte inedite), locandine, fotobuste. Completano il quadro racconti e interviste con il cast tecnico e con gli attori. Non mancano gli interventi di “nomi” legati al cinema come il regista Enzo G. Castellari, e i contributi di critici quali Davide Pulici e Gianmarco Diana, musicista ed esperto di colonne sonore. Un lavoro di ricerca e documentazione che ricostruisce, anche attraverso aneddoti interessanti e divertenti, la storia di un’epoca del nostro cinema, adatto sia agli esperti che ai neofiti. Un viaggio in un film e in un genere che ancora oggi sono oggetto di culto in Italia e all’estero, come dimostrano le tante interviste rilasciate da Quentin Tarantino dove cita Milano odia tra i film che lo hanno maggiormente ispirato. Legge Massimo Ghigi [soundcloud url=”https://api.soundcloud.com/tracks/558341439″ params=”color=#ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false&show_teaser=true” width=”100%” height=”166″ iframe=”true” /]
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Erano gli anni ’70, epoca d’oro del cinema ‘di genere’ italiano tra thriller all’italiana, commedie sexy, spaghetti western e ‘poliziotteschi’ per non parlare dei peplum o dei film di guerra; erano film che andavano fortissimo al botteghino, segno del grande apprezzamento della gente comune ma che venivano quasi sistematicamente stroncati dalla critica che preferiva il cinema ‘impegnato’ e neorealista (che proprio con gli incassi di quei film ‘poveri’ venivano finanziati).

Erano gli anni in cui le rapine in banca e i rapimenti erano all’ordine del giorno e avevano vita facile mancando gli accorgimenti tecnologici attuali in fatto di sicurezza; ecco allora che questo momento particolare dell’Italia divenne terreno fertile per il proliferare di film polizieschi ad alto tasso di violenza ed azione con protagoniste città come Milano, Genova, Torino e poi Roma e Napoli che divennero tutte ‘… a mano armata’.

Questo libro, come indica anche il titolo è dedicato a uno dei più riusciti esempi di ‘poliziesco all’italiana’ (anche se, ad onor del vero, lo stesso regista Umberto Lenzi lo ha definito più un noir) e cioè: Milano odia. La polizia non può sparare, con protagonista un grande villain interpretato magistralmente da Tomas Milian, fronteggiato dal poliziotto di turno a cui ha dato il suo volto granitico l’attore Henry Silva (qui in una delle sue rare interpretazioni dalla parte della legge).

Un’opera questa di Paolo Spagnuolo veramente notevole sotto ogni profilo e dove traspare la grandissima passione per la materia trattata; la qualità del libro, per chi ama il genere di film trattato, è subito sotto gli occhi non appena lo si inizia a sfogliare! A corredo delle testimonianze di attori, regista, produttore ecc. possiamo trovare tutta una serie di immagini, documenti e aneddoti che fanno di questo volume una vera chicca e una gioia per gli occhi.

È un libro che ho letto dalla prima all’ultima nota a margine, avidamente ma centellinando ogni pagina, cercando di ritardare il più possibile la conclusione della lettura; ancora adesso mi ritrovo a sfogliarlo perdendomi tra le splendide immagini d’epoca, tra le locandine e le ‘fotobuste’, tra i ritagli di giornale e i documenti relativi a contratti e incassi del film. Tutto semplicemente fantastico!

Oggi, com’è normale che sia quel genere di film, non ha più ragione di esistere perché i tempi sono cambiati, il pregio di un’operazione editoriale come questa di Milano odia… è proprio quella di portarci indietro nel tempo facendoci tornare la voglia di scoprire una manciata di film di culto realizzati in tempi in cui ‘la polizia aveva le mani legate’ e a farla da padrone erano quelli della ‘Calibro 9’.

Alla prossima!

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