Recensione a cura di Achille Maccapani
Giunge al decimo episodio il ciclo seriale delle avventure del vicequestore e commissario di polizia Vittorio Scichilone, affiancato dal fido braccio destro, l’ispettore Capurro, iniziato con il romanzo “Sinfonia per un delitto”, dove le note musicali della “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni riecheggiavano tra le pagine di quella prima stesura – definita, per stessa ammissione dell’autore, da Giorgio Faletti, al quale aveva sottoposto la lettura del testo – un po’ implosa. Nel frattempo, Negro è approdato alla Fratelli Frilli Editori, dove è esploso con il romanzo “Il tesoro di Perinaldo”; due edizioni (e qualche anno dopo, anche “Sinfonia per un delitto” è stato ripubblicato da Frilli in una nuova edizione totalmente riscritta), e la dimostrazione concreta di come si possa raccontare noiristicamente il ponente ligure, mescolando la realtà contemporanea con la storia di primo Ottocento, e dimostrando che si potesse trovare una diversa angolazione narrativa da attribuirsi ad un territorio, quello della Liguria ai confini con la Francia, già immortalato nei primi romanzi di Italo Calvino e nell’intera produzione narrativa del mai abbastanza rimpianto Francesco Biamonti.
Per Negro il noir diventa quindi una necessità, una chiave di lettura per soffermarsi sulle trasformazioni continue di questo lembo di terra interessato da tante, troppe, mutazioni, determinate dai flussi storico-geografici, e il suo rielaborare i fatti di cronaca si trasforma in vere e proprie macchine infernali nelle quali il commissario, single impenitente e sempre alla ricerca di un amore femminile maturo, si imbatte nel proprio cammino investigativo. Nel caso de “La solitudine di Adamo”; l’autore immerge il lettore in un inferno nascosto dietro un’anonima quotidianità urbana, quella della città di Ventimiglia, dove i piccoli episodi di cronaca nera nascondono scenari inaspettati, e soprattutto risvolti ben più amari, e intrecciandosi tra loro, a mano a mano che si sviluppa l’attività investigativa, mostrano un territorio sempre inquieto e ribollente, dove la percezione della speranza difficilmente emerge. Perché, di fronte alle situazioni concrete affrontate (si parla di femminicidio, violenza sulle donne, presenza della ‘ndrangheta in città, tanto per mettere le cose in chiaro, senza rischiare di compiere uno spoiler che rovinerebbe l’impatto della lettura), non si percepisce neanche un minimo segnale di redenzione, di speranza, di sguardo positivo verso il futuro.
Anzi, sembra perfino – nell’iniziare a leggere questo nuovo romanzo – di riscontrare uno Scichilone più stanco del solito, più amareggiato per via degli anni che scorrono via, del tempo che passa, sentendosi sempre più svuotato, amareggiato, ma che poi, di fronte agli episodi criminosi che incombono, decide di non arretrare, ma anzi si butta nella mischia, e dona tutto se stesso in questo turbine di indagini, sfoderando le sue qualità di investigatore della vecchia scuola, non dando mai nulla per scontato, non credendo mai alla prima soluzione di comodo, ma ricercando invece le vere ragioni di questo o quel delitto. Per poi rimanere addolorato in cuor suo, di fronte alle efferatezze del male, che si nascondono perfino dietro un angolo conosciuto della città in cui vive e lavora da tantissimi anni.
Al termine della lettura, devo riscontrare di come sia gradualmente cresciuta la capacità di scrittura di Negro, soprattutto per il fatto di riuscire a creare il cosiddetto “effetto di soddisfazione”. Negli anni passati, infatti, mi era capitato di arrivare al termine della lettura dei precedenti episodi per poi rimanere un po’ a bocca asciutta, perché mi aspettavo di più, avrei voluto leggere ancora gli sviluppi, ma il romanzo era già terminato. Ne “La solitudine di Adamo”; invece, il meccanismo narrativo è talmente ben congegnato, al punto da non separarsi più, e si rimane coinvolti da questo prendermi per mano, da parte dell’autore, che riesce in tal modo a coinvolgermi, e forse anche con il vantaggio di mettere in risalto luoghi, paesaggi, angoli della stessa città in cui vivo e abito da tantissimi anni, Ventimiglia, e che nonostante le numerosissime criticità continua a stupirmi e affascinarmi.