Recensione a cura di Pasquale Schiavone
“SIAMO TUTTI ABITUATI A MORIRE OGNI TANTO E COSI’ A POCO A POCO CHE LA VERITÀ È CHE OGNI GIORNO SIAMO PIÙ VIVI, INFINITAMENTE VECCHI E INFINITAMENTE VIVI”
Il romanzo riunisce alcune delle preoccupazioni che Bolano utilizza con un’energia inarrestabile e magistrale nel 2666. Non avendo ancora letto I DETECTIVE SELVAGGI o molti dei suoi romanzi che sono venuti alla luce solo dopo la sua morte e la successiva (ri) scoperta, non posso tracciare paralleli o confronti. Ma posso dire che possiamo sentire la magnificenza di 2666 su LA PISTA DI GHIACCIO. Il racconto è, a prima vista, un “ROMANZO NERO” in cui vengono raccontati i dettagli di un omicidio che si svolge all’interno di una misteriosa pista di ghiaccio.
La vicenda è narrata da tre punti di vista alternati: il cileno Remo Morán, esule in Spagna e proprietario di un’attività commerciale in una cittadina della Costa Brava indicata con la sola iniziale di Z, il messicano Gaspar Heredia, al quale Morán ha trovato impiego come guardiano di un camping di sua proprietà, ed infine il funzionario pubblico catalano Enric Rosquelles, braccio destro della sindaca socialista di Z.
Questi fatti trasformerebbero la vita dei personaggi, sia principali che secondari, in un perfetto effetto domino. Tuttavia, mentre le pagine avanzano e le sottotrame di questa storia si sviluppano, ti renderai conto che le aspirazioni dell’autore vanno oltre i limiti stabiliti per il genere. La cosa interessante della struttura della storia è la mancanza di un detective, perché solo attraverso le testimonianze vengono costruiti fatti. All’inizio, niente ha una relazione, ma poi persone, luoghi e circostanze cominciano a chiarire senza la necessità di quel mediatore che è dalla parte della legge. Tutto inizia con tre percorsi molto diversi, poi iniziano ad intrecciarsi per convergere infine in un singolo punto, in un singolo luogo, in cui quasi tutti i personaggi calpestano, lì si connettono le loro vite: LA PISTA DI GHIACCIO.