Nuovo capitolo di quanto ci descrive Robotham a proposito di Cyrus. In questo caso ci addentriamo a leggere il rapporto da Cyrus ed il fratello, Elias. Da una parte Elias che ha assassinato genitori e sorelle che si ritiene in grado di “ gestire lo stress “, in terapia farmacologica, ricoverato per gravi disturbi alla personalità, che attraversa una lenta ed inarrestabile disintegrazione e si pone in autoisolamento, affetto da schizofrenia paranoide; dall’altra Cyrus il sopravvissuto compatito. Al centro la valutazione dell’istanza di liberazione nei confronti di Elias, dopo venti anni dalla strage, che l’ospedale psichiatrico di massima sicurezza di Rampton dovrà prendere in considerazione, ospedale in cui vengono sottoposti a controllo i disturbi dell’umore, la personalità e le “ malattie “ che hanno portato alla morte di altri, con Elias è come convivere con una bomba ad orologeria: sai che prima o poi dovrà esplodere, ma non sai quando. Cyrus, psicologo forense che si impone di separare la persona e l’atto che compie, odia il peccato ed è portato a perdonare il peccatore. E poi c’è Evie, di nuovo come in passato,una Cyrus dipendente, che fa del tirare a campare facendo lo stretto necessario la propria filosofia di vita, che considera la verità troppo noiosa e che vuole essere una nichilista di professione, che si rifugia nei luoghi oscuri della propria mente, luoghi oscuri della propria mente, luoghi solitari, crudeli, unica via di fuga? Nascondersi, che non si vuol far rovistare nella testa. Dicevamo di Cyrus, è necessario soffermarvisi di nuovo ed in maniera più approfondita visto il ruolo chiamato a svolgere e quello imposto dagli eventi. Cyrus un criminologo che indaga sulle morti violente e sospette, sul comportamento umano, refrattario a quel progresso umano che in realtà non è altro che la resa del genere umano e non a caso privilegia le interazioni umane,il rapporto diretto al livello mediato e falsato dei social, l’interpretazione del linguaggio del corpo; un investigatore che non da niente per scontato, non crede a nessuno, che vuol verificare tutto, uno strizzacervelli che non sa trovare una cura per i suoi mali, che considera il perdono una finzione, che si attiene alla scienza e non al destino, che considera decisivi anche i piccoli dettagli che possono sembrare insignificanti. Ma non ci troviamo di fronte ad un testo di psicologia e questo ci viene riportato alla mente da un’aggressione improvvisa e feroce. In definitiva se Stephen King dice che Robotham non può scrivere un brutto libro, come dargli torto.