Recensione a cura di Manuela Baldi
Prosegue da parte di Guanda, la pubblicazione dei primi libri di Arnaldur Indriðason. Questo è il secondo della serie pubblicato in Islanda nel 1998 con Erlendur Sveinsson protagonista. Faccio questa premessa perché questo libro raccontandoci dell’indagine, fa conoscere meglio la parte privata di Erlendur Sveinsson, l’andamento è lento e le considerazioni sul mondo, sul passato e sulla progressiva perdita di identità degli islandesi prendono il sopravvento. Il tutto condito dalle lunghe ore di luce che mettono a dura prova il nostro protagonista. Detto questo, il libro mi è piaciuto molto, mi spiace solo non averlo potuto leggere nella giusta sequenza. Ma veniamo alla trama, si parte dal ritrovamento del cadavere di una ragazza sulla tomba del Presidente islandese, eroe nazionale, Jón Sigurðsson. La vittima non ha documenti e da subito le indagini sono complicate perché non risultano denunce di persone scomparse con quelle caratteristiche fisiche. Naturalmente il luogo del ritrovamento è da tenere in considerazione, potrebbe nascondere un messaggio. Da subito veniamo confrontati con il disagio di Erlendur che si trova sempre meno a proprio agio nel suo Paese, lo disturba come il modello cui ispirarsi siano gli Stati Uniti, lamenta la progressiva perdita di identità. Scopriamo come da poco abbia ritrovato i propri figli che sono poco più di estranei, dediti al consumo di droga l’una e di alcool l’altro. La telefonata della sua ex-moglie, dopo circa vent’anni di silenzio sdegnato, che gli vomita addosso tutta la sua rabbia, perché come marito e come padre è stato, è, un fallimento è da leggere, perché ci racconta molto di Erlendur Sveinsson. Le indagini proseguono facendo presagire un mondo nascosto pieno di prevaricazioni, violenza e di persone che grazie ai loro soldi si permettono di fare di tutto. Grazie all’aiuto della figlia di Erlendur, Eva Lind, che vanta qualche conoscenza in ambiti poco raccomandabili, finalmente si scopre il nome della ragazza, Birta e la zona di provenienza. Pur avendo molti sospetti su un uomo, confusamente Sveinsson sente che deve recarsi nei Fiordi occidentali per provare a scoprire qualcosa sulla ragazza. Parte in macchina con il suo collega, Sigurðor Òli che non capisce perché non abbiano preso un aereo e mentre si muovono alla ricerca di un qualsiasi indizio che possa essere utile, si rendono conto che i piccoli villaggi sono svuotati, che molte case sono diventate seconde case e vedono come la vendita delle “quote pesca” abbia di fatto costretto molti abitanti a trasferirsi in città. Questo fatto aggiunto allo scarso interesse per la storia del Paese, non fa che deprimere ancora di più Erlendur che ha nostalgia del mondo che fu. Il collega Sigurðor, molto più giovane, senza l’attaccamento alla storia e grande fan degli Stati Uniti, dove ha vissuto e studiato, cerca di spiegare perché non vada bene rimanere attaccati al passato e mentre viaggiano espone a Erlendur la sua teoria in fatto di crimini in Islanda: … “Qui gli omicidi sono dovuti a raptus di follia. O, più spesso, all’ubriachezza. Non hanno mai nulla di simbolico. Non nascondono un senso più profondo. Non raccontano chissà quali verità. Sono sordidi, casuali.”…
Il viaggio, aiuta le indagini, ma la soluzione andrà cercata in città. Janus, un amico di infanzia di Birta darà una mano a chiarire l’omicidio e capire chi fosse questa giovane donna. Trattandosi di un giallo non si può dire molto altro e in effetti preferisco soffermarmi sulla scrittura di Arnaldur Indriðason: i dialoghi sono sempre ben congegnati, l’ambientazione nella Reykjavik di mezza estate ricca di luce e nei fiordi resi tristi dallo svuotamento e dalle innumerevoli case vuote, permette di “vedere” i luoghi. L’analisi sociale che ci viene presentata, il denaro che consente di fare qualsiasi cosa, la città che cresce, lo svuotamento dei paesi, la progressiva rinuncia alla propria cultura sono parte importante della narrazione che ci svela il contesto socio-culturale e in qualche modo, tenendo presente gli anni cui si riferisce, fa presagire la crisi finanziaria che travolgerà l’Islanda (2008/2011).
Detto questo e al netto della vicenda criminale, la figura di Erlendur Sveinsson, malinconica e sofferente, la sua crisi esistenziale sono la cifra del romanzo.