Il secondo cavaliere
Vienna, 1919. Quella che solo pochi anni prima era la magnifica capitale di un grande impero è in rovina: miseria, fame, borsa nera, donne costrette a prostituirsi, migliaia di senzatetto, rifugi pieni di reduci di guerra, rabbia sociale, frustrazione per la disfatta e per il crollo dell’impero austro-ungarico. Il romanzo si apre con l’omicidio di un reduce della prima guerra mondiale: l’assassino gli spara alla testa in un bosco alla periferia della città e cerca di farlo sembrare un suicidio. A indagare c’è August Emmerich, che insieme al suo assistente, il giovane e inesperto Winter, sta pedinando un borsanerista. Emmerich non lavora alla Omicidi, anche se nutre l’ambizione di entrare a farne parte. È cresciuto in un orfanotrofio, insieme a colui che oggi è noto come Kolja, uno dei maggiori trafficanti di borsa nera. Emmerich ha combattuto nelle trincee, dove una scheggia di granata gli è entrata nella gamba, causandogli dolori che ora cerca di tenere a bada con l’eroina. Ha una compagna, che ama teneramente al pari dei figli di lei, ma anche lì la sorte gli gioca un brutto scherzo. Eppure continua a credere nella giustizia e caparbiamente manda avanti la sua pericolosa indagine usando mezzi leciti e illeciti, correndo rischi enormi, svelando segreti che coinvolgono personaggi potenti.
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Hanno un fascino particolare, le città del dopoguerra. Sono pervase da un lacerante senso di sospensione tra passato e presente, sono state segnate in profondità dal passaggio della Storia, attendono di costruire il proprio destino e devono liberarsi delle macerie morali e materiali lasciate dagli eventi che le hanno attraversate.

Vienna, in particolare, nel 1919 è una nobile terribilmente decaduta, che stenta a risollevarsi dopo il crollo rovinoso di uno degli Imperi storicamente più importanti e longevi, nonché geograficamente più estesi. Non sa rassegnarsi alla nuova condizione di capitale di uno stato in difficoltà nel reperire persino i beni necessari alla semplice sopravvivenza. Inflazione, mercato nero, contrabbando, diffusa microcriminalità, reduci disadattati e “nuovi ricchi” sono le cifre di una società che stenta a recuperare un assetto stabile e ordinato.

In questo scenario magmatico, ricostruito alla perfezione, si muove l’ispettore distrettuale August Emmerich, un uomo profondamente segnato a livello fisico dalle esperienze della guerra, durante la quale ha rimediato una grave ferita alla gamba, che si sforza in ogni modo di nascondere per non finire confinato dietro a una scrivania, fino a rendersi dipendente dall’eroina. Cresciuto in orfanotrofio, formatosi sulla strada e indurito dalle esperienze al fronte, messo alla prova pure sotto il profilo sentimentale nella relazione con una vedova di guerra che ama e aiuta anche nell’accudimento dei tre figli, è un poliziotto votato alle indagini e all’azione. Soprattutto, possiede un profondo e radicato senso della giustizia, non sempre coincidente con la legalità, e nutre una sola ambizione: arrivare a far parte della squadra Omicidi. La grande occasione arriva quando, del tutto casualmente, l’ispettore incappa nello strano omicidio, mascherato da suicidio, di un reduce, uno dei tanti relitti alla deriva dopo il conflitto. Ben presto, si ritrova alle prese con un mistero che ruota intorno a vecchi crimini di guerra e all’azione di un omicida seriale, che insanguina le vie della capitale austriaca. Quali sono i fili che legano queste due tracce?

Nell’inchiesta lo affianca l’aiutante Ferdinand Winter. I due non potrebbero essere più diversi, costituendo una “strana coppia” che funziona e, a tratti, diverte. Infatti, se Emmerich è l’investigatore esperto e dai metodi spicci, Winter è invece un giovane di buona famiglia, inesperto, intuitivo ma ancora fragile rispetto alle durezze della vita del poliziotto. Emmerich è duro, trasgressivo e determinato a non fare sconti, quanto Winter è coscienzioso e diplomatico, un “puro”.

Poi, c’è Kolja, un boss del mercato nero, che conosce August fin dall’infanzia. I due hanno un legame ambivalente: sono fieri avversari, ma con un doloroso passato comune e un’analoga sete di giustizia, per cui talvolta solidarizzano, superando i rispettivi ruoli.

Con l’aiuto di Winter e di Kolja, dunque, Emmerich scoperchia il vaso di Pandora di un complotto che si ramifica verso settori insospettabili della buona società viennese: tra cadute rovinose e faticose risalite giunge alla sorprendente soluzione dell’enigma letteralmente all’ultima pagina, lasciando nel lettore il desiderio di ritrovarlo alle prese con nuove avventure.

Alex Beer, pseudonimo dietro al quale si cela l’autrice Daniela Larcher, con Il secondo cavaliere ha fatto decisamente centro, confezionando un thriller magistrale, in cui sono dosati con abilità gli elementi peculiari della narrativa di tensione, senza mai rinunciare, però, a un tocco gradevole di ironia e di umorismo, che rende tremendamente affascinanti e credibili i suoi personaggi.

Grande punto di forza è costituito dall’ambientazione storica, sempre credibile e “viva” coprotagonista della narrazione. Gli scenari del primo dopoguerra stanno conoscendo una discreta fortuna narrativa, basti pensare ai positivi riscontri ottenuti da Babylon Berlin di Volker Kutscher, da cui è stata tratta un’eccellente serie televisiva, oppure alla recente vittoria nel premio Tedeschi del Giallo Mondadori di Alberto Odone e del suo ottimo La meccanica del delitto. Viene da pensare che questi romanzi, narrandoci tramonti e transizioni di un secolo fa, raccontino qualcosa anche del nostro presente e, forse, del nostro futuro. Meglio, quindi, mettersi comodi, magari con una bella fetta di Sacher e un bicchiere di passito del Burgenland, e lasciarsi trasportare da una storia che parla di noi, più di quanto si immagini.

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