Il ragazzo del secolo o della rivoluzione perduta
Un uomo nasce nel 1950, alla metà esatta del Novecento, l’ultimo secolo del Millennio. Il suo nome è Luigi e ha pochi mesi quando i suoi genitori, da Napoli, dalla palazzina dove vivono tra il mare e una raffineria, decidono di trasferirsi a Roma. Lì, nella capitale, lo sorprendono gli anni Sessanta, con la musica delle band che arrivano da altri paesi e che, con i loro beat pulsanti e maliziosi, sembrano parlare da un futuro ormai alla porta.  Poi le prime grandi amicizie, il primo amore, nuovi idoli che nascono e muoiono in fretta, la diffusa e frenetica voglia di cambiamento. E di rivoluzione. Una rivoluzione che, ancora al suono di accordi rock e nuovi strumenti, con i capelli lunghi e le magliette colorate, prende finalmente vita alla fine del decennio, tra manifestazioni, viaggi in terre lontane ed esotiche, speranze. Promesse di una libertà assoluta e sfolgorante che dà le vertigini e che i giovani e la musica non hanno mai vissuto prima. Luigi cresce, si sposa, lavora a progetti di scrittura e politica, immerso in un clima di trasformazioni epocali. Ma la droga e l’improvvisa ondata di violenza degli anni Settanta mettono in crisi quei sogni e lui va incontro alle prime disillusioni e alle ombre di un tempo che non tornerà, mentre la vicenda privata del protagonista si incrocia con quelle di uomini straordinari, da Andrea Pazienza a Freak Antoni, da Paolo Pietrangeli a Rino Gaetano. Il ragazzo del secolo, o della rivoluzione perduta è l’esordio nella narrativa di Gino Castaldo, il più grande e amato giornalista musicale italiano, un romanzo in cui i desideri, le speranze e i dolori di un’epoca vicina e al contempo perduta rivivono grazie alla magia della letteratura.
Stavamo tutti aspettando il sorgere del sol dell’avvenire ma dal lato sbagliato del mondo?

Gino Castaldo, grande esperto di musica, lo leggo e ascolto sempre con grande piacere. Con Il ragazzo del secolo o della rivoluzione perduta” pubblicato per Harper Collins ci offre un romanzo storico, di vita vissuta e anche di costume.

Scritto in prima persona, è quasi un’autobiografia: troviamo il racconto di una vita vissuta, dell’affacciarsi al mondo. Il suo anno di nascita, a metà del secolo scorso, vicino alla fine della seconda guerra mondiale ma allo stesso tempo prossimo a un periodo di cambiamenti epocali in tutti gli ambiti, pone Castaldo al posto giusto negli anni giusti. Respira appieno un vento di mutamento che faceva pensare che tutto fosse possibile, che il cambiamento fosse necessario per lasciarsi alle spalle una società che non rispondeva più alle esigenze di una generazione proiettata al futuro.

La musica non è solo colonna sonora ma parte integrante del racconto e non poteva essere altrimenti con un autore come Gino Castaldo. Il sentirsi chiamato in prima persona dalle canzoni, viverle e farle proprie.

Nel descrivere la propria vita, le amicizie, le pulsioni, i sogni, i desideri e le disillusioni, è descritto bene l’entusiasmo nel viverle ma si respira anche l’amarezza di chi sa come poi sia andata a finire.
Interessante la scelta dell’inizio e della fine scritti in corsivo: è un regalo che ci fa l’autore, sono considerazioni sul nostro presente. Mi piace in maniera particolare l’ultima frase dell’introduzione: “…
perché se non c’è limite alla crudeltà di cui è capace l’umanità, non c’è limite neanche alla sua struggente volontà di creare bellezza.” Nel capitolo conclusivo, triste ma reale, mi fa piacere condividere la seguente frase: “… Se il mondo fa schifo è solo perché lasciamo che accada.” Che mi riporta dritta dritta alla responsabilità di ognuna/o di noi a fare la propria parte, a non mollare.

Castaldo racconta lo stupore di chi capisce di vivere in un’epoca che mette tutto in discussione, di chi non ha ancora trovato il posto dove stare, delle amicizie, quelle vere, che durano nel tempo. Molto bello anche il racconto del suo approccio con le donne, che negli anni ’70 sono protagoniste di grandi rivoluzioni e che il giovane Luigi prova a capire. Dolorosa la parte dell’avvento della droga pesante, delle vite che vengono distrutte, della scelta di non farsi “fregare” da quella roba.

Consiglio la lettura del libro a chi ha vissuto quegli anni, quando tutto sembrava possibile, un altro mondo era possibile. Forse la nostalgia è per la –perduta – giovane età – ma credo ancora di più della speranza con la quale si guardava al futuro e dell’idealismo che permeava l’agire singolo e collettivo.

Lo consiglio anche a chi di quel mondo non sa niente e fatica ad immaginarselo: tuffarsi nel libro di Castaldo aiuterà a capire meglio quel periodo e le sue speranze.

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