Blind Spot
Los Angeles. La criminologa Kylie Evans conduce una vita ritirata, lontana dai riflettori della ribalta. Una grande paura la fa vivere lontano dalla società. Una casa sulla spiaggia è il suo unico rifugio, dove scrive e rafforza lo spirito col Tai Chi. Nel frattempo una incredibile sequenza di omicidi insanguina i dorati quartieri di Beverly Hills e Pasadena. La figlia di un petroliere, un noto milionario e un famoso stilista sono vittime di orrende mutilazioni. Incaricato delle indagini è Jack Barrett, un poco convenzionale agente dell’FBI che veste come un cowboy e si muove su una vecchia Ford Mustang del ’67. La Evans deve rimettersi in gioco per le insistenze di Barrett: è necessario comprendere le analogie tra i delitti. Lo studio della vittimologia conduce al colpevole che, in base al profilo e grazie a prove schiaccianti, viene arrestato. Ma un altro delitto fa ripartire tutto da zero. Chi c’è allora dietro tutto questo orrore? E, soprattutto, perché?
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A un certo punto, leggendo questo romanzo, ho pensato a David Bowie. Al suo album Outside, in cui omicidi e mutilazioni venivano elevati a perversa, degenerata forma d’arte. E poi a From Hell di Alan Moore, al cruciale momento in cui la mano chirurgica di William Gull rimpiazza quella maldestra del suo cocchiere, e Gull scopre l’estasi del coltello nella carne, che lo porterà fino all’ultima, visionaria, epifanica devastazione di un corpo, a diventare Jack lo Squartatore.

Ma questo romanzo procede secondo binari propri, intrecciando piste e indizi, nascondendo la soluzione finale in un’abile ragnatela di sviamenti al lettore. E la collaborazione tra la dottoressa Evans e una specie di Mel Gibson più alto soprannominato “Mad” funziona che è un piacere, per la soddisfazione del lettore.

 

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