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Requiem di provincia
Il dirigente di un grande gruppo industriale è in coma con un proiettile nella testa. Qualcuno col viso coperto da un passamontagna gli ha sparato a sangue freddo sul pianerottolo di casa. Sono cose che non capitano mai nella tranquilla provincia piemontese. È il 1987, Corso Bramard è commissario di polizia e Vincenzo Arcadipane è il suo braccio destro: un salto indietro nel tempo, all’origine di tutto ciò che ha reso unici e indimenticabili questi personaggi. Con “Requiem di provincia” Davide Longo scrive un affascinante romanzo dall’atmosfera inquieta. E senza mai rinunciare al suo misurato quanto irresistibile umorismo, tesse la trama di una vicenda imprevedibile, che sorprende fino all’ultima pagina. Eric Delarue, poco più di cinquant’anni, origini francesi, bello, istrionico, di successo, sposato con una donna ricca: un po’ per sfotterlo, un po’ per invidia, gli operai della fabbrica di cui era il responsabile lo chiamavano Julio, come Julio Iglesias di cui aveva l’irresistibile sorriso. Chi poteva odiare uno così al punto da sparargli sulla porta di casa? Un’indagine che parte in salita vista l’assenza di indizi e testimoni, fino a quando non arriva la rivendicazione di uno sconosciuto gruppo terroristico che sembra convincere le alte sfere della polizia e, soprattutto, i capi della società per cui Delarue lavorava, desiderosi di chiudere in fretta la faccenda. L’unico a non credere alla pista politica è il commissario Bramard, che nessuno prende sottogamba, sebbene in questo periodo la sua mente sia spesso annebbiata dall’alcol. E come lui la pensa il giovane ispettore Arcadipane, che quasi ogni notte lo recupera nelle osterie per rimetterlo in sesto e assicurarsi che il mattino dopo si presenti in questura. I due inseguono la verità muovendosi tra la livida e rugginosa cittadina dov’è avvenuto il fatto e la Torino dell’alta borghesia. Tra i segreti inconfessati di una certa provincia e i tentativi di depistaggio di chi vorrebbe mantenere privati i propri vizi. Un caso davvero complesso, la cui soluzione porterà Bramard e Arcadipane a fare i conti con tutte le sfumature della parola giustizia.
Ci sono persone cosí, pensa Arcadipane, eleganti con un giaccone sformato addosso, spettinate, insonni, sbronze e con le scarpe da montagna.

È un prequel questa storia che ci racconta Davide Longo. Arcadipane e Bramard abbiamo imparato a conoscerli nei libri precedenti, sappiamo molte cose di tutti e due ma, avevamo bisogno di avere la storia che porta alle dimissioni di Corso Bramard, del suo ritiro nella sua valle.

Ecco che Longo ci serve una storia amara, triste alla quale, per fortuna, non manca l’ironia, sparsa con sapienza qua e là fra i capitoli. Corso Bramard è in crisi, l’alcool lo aiuta ma lo rende inaffidabile, Arcadipane, ispettore della sua squadra, gli fa da balia ed è proprio così che inizia il libro, Vincenzo Arcadipane in giro per Torino alla ricerca del suo commissario che ancora una volta ha fatto il pieno di alcool. Devono intervenire sulla scena di un crimine che fin da subito si presenta complicata, il dirigente di un gruppo industriale è stato ferito sulla soglia di casa sua. La pista probabile e preferita ai piani alti della questura, in assenza di testimoni, è quella del terrorismo ma con Bramard non si sa mai. Se conoscete Arcadipane e Bramard sapete cosa vi aspetta, se non avete mai letto niente, iniziare da questo libro aiuta ad inquadrare i personaggi. Però, però, in questo libro troviamo altro: la provincia con i suoi ritmi, riti e omertà, troviamo il detto e non detto, troviamo donne e uomini spigolosi, la fabbrica che dà lavoro e che organizza la vita sociale dei suoi dipendenti. Troviamo la vittima, Eric Delarue che fa di tutto per piacere a tutti, che seduce, che apparentemente è un benefattore ma a Bramard le cose non tornano. Il maresciallo Luglio parlando con Bramard … “Ciò che poteva dire di Eric Delarue, che gli operai un po’ per sfottere un po’ per invidia chiamavano Julio, era che si trattava di un uomo bello e appassionato di auto co￾stose, che voleva essere simpatico a tutti e quasi sempre, per disposizione naturale, ci riusciva”

Mentre i suoi superiori cercano di togliergli il caso e di sbarazzarsi di lui, Corso Bramard insegue le sue intuizioni, coperto da Arcadipane che si trova alle prese con la tesi e anche con una ragazza che la tesi gliela sta correggendo e lo intriga molto. In questo, più che nei libri precedenti, la differenza e complementarità fra Bramard e Arcadipane si evidenziano e faccio mia la definizione di Maurizio Crosetti, giornalista di Repubblica che scrisse in un suo pezzo di qualche anno fa: …”Quanto è mentale Bramard, tanto è corporeo Arcadipane.” Mentre le indagini si dipanano e Bramard si ritrova infine sospeso dal servizio, perché si sa che non si pestano i piedi ai potenti, cresce e matura in lui la decisione di dare le dimissioni e tornare a vivere nel Roero, vicino allo zio Pietro, nella cascina della sua famiglia.

Leggendo è un piacere seguire Bramard nelle sue indagini, mi piace come coglie i particolari che sfuggono ai più e cerco di indagare insieme a lui. Ho apprezzato molto anche il racconto della sua storia personale che spiega molto del suo modo di essere.

Lettura consigliata.

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