Dopo il successo ottenuto con “ Alla vecchia maniera “, Paolo Roversi non poteva lasciare il commissario Luca Botero ad un a sola inchiesta. Eccolo quindi approdare ad una seconda, e di nuovo divertente, indagine. Un Luca Botero, con il suo inseparabile trench, afflitto da una strana sindrome: la tecnofobia, che lo porta a condurre le indagini, appunto, alla vecchia maniera,anzi a preferire le scale, nonostante gli affanni, all’ascensore che gli produce ansia ed attacchi di epilessia, che diffida da quelli che sembrano imbianchini e che in realtà sono coloro che oggi svolgono tecnicamente le indagini con metodi sofisticati e scientificamente perfetti, che usa le lamette “ usa e getta “ e non il rasoio elettrico anche perché così si rilassa.Botero, che analizza non solo il luogo del delitto ma anche il contesto, a tu per tu con la Milano bene rappresentata dall’albergo Savoy e dalla politica. Albergo e politica accumunati da un omicidio. La politica con i suoi affari più o meno leciti, con le mani in pasta su progetti faraonici. Politica contraddistinta dalla differenza tra il dire ed il fare; il dio patria e famiglia che restano solo marketing e niente altro. Omicidio che dovrà essere risolto niente meno che da Botero e dalla sua squadra, una squadra che pare arrivare direttamente dalle pagine segnate dall’imperversare di Vallanzasca e delle famose “ batterie “, una squadra che assomiglia, più che a dei tutori dell’ordine all’armata Brancaleone; squadra che trova la propria ubicazione in uffici che sembrano di un paese dell’est ai tempi dell’URSS, anzi peggio visti i muri scrostati, i calcinacci, senza finestre, un telefono alla parete ( ovviamente ). Botero un investigatore che usa tutti i sensi a propria disposizione, che preferisce non dormire in quanto il dormire è un distrarsi dal mondo e questo gli procura un’insonnia cronica, a cui non piace mangiare con gli altri, e se proprio deve ricorre al prepararsi qualcosa, ecco comparire il libro di ricette; un commissario che ritiene che qualsiasi indagine può essere risolta grazie all’osservazione ed alla logica, come negli anni ’60, e come alla vecchia maniera tenendo il fiato sul collo sugli interrogandi, che, volutamente, infrange le regole basilari delle indagini. Botero che tiene sotto osservazione come vengono dette le cose, con il taccuino sempre a portata di mano. Non può fare a meno della macchina da scrivere Lettera 22, della fotocopiatrice, del fax, dei faldoni, della radio con la manopola e del registratore. Un Botero enigmatico, che si confida con il cane e che si trova a suo agio al mercato comunale, che affronta l’indagine come una partita a biliardo cercando di mettere a segno la mossa definitiva, vista, tra l’altro la sua amicizia con Domenico il tranviere, e che non può fare affidamento alla fortuna. In questo nuovo giallo, edito da Mondadori, anzi da Il GIALLO MONDADORI, Roversi non si sottrae dal descrivere la Milano con cui ha a che fare: le case di ringhiera; la nuova chinatown dove non si muore mai; l’expo e le infiltrazioni della ‘ndrangheta, e non può non avere come riferimento, per ciò che scrive, il maestro del noir italiano: Scerbanenco, il riciclo di denaro sporco ed il traffico di stupefacenti. Certo riconosco che ho dedicato tantissime parole per Botero, sinceramente non credo che poteva essere diversamente. Il finale, lascia presagire che ritroveremo Botero in una terza indagine “alla vecchia maniera“.