“Sono cose. Soprammobili. Dove le metti, stanno. Bamboline di carta…Le spogli sperando di trovare il corpo di una donna anche se il cervello è quello di una bambina. E cosa trovi? Niente, commissario. Sotto il vestito lei non trova niente. Voglio dire il vuoto, il contrario di quello che sognava o si aspettava di trovare”
Era il 1983 quando irruppe sulla scena questo thriller di Paolo Pietroni, sotto lo pseudonimo di Marco Parma. Un macigno letterario, come le parole citate sopra testimoniano, emblema di una feroce critica a quelle incantatrici del nulla, bambole ammalianti farcite di sogni e desiderio che son le modelle, recipienti vuoti, adornati sulla fulgida epidermide della bellezza. Sono passati 40 anni, eppure ancor oggi questo è l’impietoso affresco di quella che è la “creatura” modella nella sua accezione più dispregiativa e categorizzante. Qui, miei cari, entro a gamba tesa sul personale. Io, ora ben più nota al “popolo” come criminologa e professionista, trincerata dietro lauree, titoli e studio imperituro, credo di non aver mai subito così tanta discriminazione per i miei trascorsi come modella e le falcate nel presente legate all’imperituro amore per il posare, sfilare, adoperare anche la mia esteriorità. Il che ci suggerisce, nettamente, che forse “Sotto il vestito niente” rimane concezione che ha travalicato i quarant’anni addietro, permanendo sotto pelle nella considerazione della donna che lavora, fa strumento e ammalia con la sua bellezza, e che secondo quei cervelli ristretti, dietro a quel meraviglioso involucro, v’è il vuoto totale, o per dirla semplicemente, citando quando mi son sentita dire “sei bella, ma sei anche intelligente”: parole lusinghiere, non trovate? Ma saltiamo questa digressione sulla donna scrivente, e torniamo all’opera di Paolo Pietroni. Romanzo che è figlio dell’anno in cui è stato prodotto, ne porta su carta gli eventi, che echeggiano dalle pagine e dalle trame, basti considerare la citazione diretta alla scomparsa di Emanuela Orlandi, tristemente rimasta mistero insoluto e cold case nelle quattro decadi successive:
“L’Interpol, proprio nell’occasione del presunto sequestro di Emanuela Orlandi, ha reso noto che nei paesi occidentali che si affacciano sul Mediterraneo ogni anno almeno cento giovani donne spariscono all’improvviso e senza lasciare traccia: un oscuro mistero che solamente la tratta delle bianche può chiarire…”
Ed è proprio questo il peculiare tratto di questo Sotto il vestito niente, il saper miscelare reale e fantasia, cronaca dei tempi che si intreccia alla vicenda narrata, in effetti esile, quasi un pretesto per diluire una disincantata, cruda, nerissima critica allo scintillante mondo della moda, dove i sinuosi corpi delle modelle si prestano a loschi traffici di droga, sesso mercenario, tra i capricci ed egotici bisogni di stilisti alla ricerca del predominio a discapito di ogni scrupolo etico-morale. Un romanzo che in ogni sua densa pagina appare sopra le righe, greve, ingarbugliato e fino all’ultimo ci si chiede se vi sia una pretesa di logica nell’ostentato intreccio nonsense che dal principio alla pagina finale tiene i misteri fitti e inesplicabili. Ben distante dal patinato, eppur fine omonimo film di Vanzina del 1985, dove regnava un giallo di tutto rispetto trainato dalla dirompente bellezza di Renée Simonsen, il romanzo di Pietroni ne rappresenta in effetti l’antitesi, oltre a condividere poco e nulla a livello di trama con la sua controparte cinematografica. Questo è un libro dove i bagliori della moda nemmeno si intravedono, è un ritratto crudo e senza luce alcuna di una umanità consunta e squallida. E lasciatemi dire, però, con i dovuti distinguo e rifuggendo da stereotipi e categorizzazioni, che in molte di quelle meravigliose creature infarcite di sogni, sotto il vestito c’è molto più dell’epidermide di seta e di occhi ammalianti, ve lo dice chi è stata fra loro, cavalcando attimi di incanto, ed è parte di quel mondo un po’ metafisico…