Sombrero Swing (La volta buona)
Milano 1973, la città si prepara a fermarsi. L’imminente prima domenica di austerity investe anche Gino ed Eugenio, due “malnatt” del quartiere Cagnola. Il primo, inserviente dello zoo di Milano – al quale la rovinosa caduta in un tombino ha pregiudicato una promettente carriera calcistica tra i casciavit rossoneri – cerca di sfuggire alle sue responsabilità quotidiane seguendo l’altro in scorribande da cowboy di periferia. Il secondo, affaccendato in “incombenze non sempre conformi alla legge”, cerca una sua collocazione in una città dove droga, terrorismo e criminalità le stanno cambiando la pelle. Il loro quartier generale è il bar Spada, affollato da fauna e umanità varia. Un manipolo di perdenti il cui obiettivo è quello di sfruttare “un’occasione d’oro”, allungare la mano verso il destino e dimostrare a sé stessi che chi sogna vive e chi dorme soltanto, muore lentamente. Sarà la volta buona?
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Un giallo esilarante. Sempre sopra le righe, dove vivere pericolosamente sembra essere la parola d’ordine, ma in salsa meneghina.
I due autori amano svisceratamente Milano, si vede e si evince da quello che scrivono. Più che una storia organica e organizzata, questo libro è una raccolta di storie, tutte piuttosto divertenti ma scollegate fra loro.  O meglio, un sottile filo conduttore c’è, e sono i personaggi. La vera forza di questo romanzo: i suoi protagonisti.
Eugenio detto Genio e il Gino, amici da sempre, si vogliono bene, si aiutano però… non riescono a stare fermi un attimino.
Il primo, l’Eugenio è detto anche dieci secondi, che è il tempo che impiega a scassinare una serratura, l’altro, il Gino, è più pacato, più regolare (all’apparenza) e lavora allo zoo. Trascinati dalla brama di sopravvivenza, e dall’intento di emigrare su qualche spiaggia tropicale a far niente, tentano il colpaccio ad ogni piè sospinto, ma c’è sempre qualche imprevisto che li bastona. Risorgeranno come l’Araba Fenice dai propri disastri? Noi aspettiamo il prossimo episodio. Perché lo sappiamo che c’è vero?

Trascrivo un breve brano (dialogo-sogno, in banca, tra l’Eugenio e il Walter ragionier Vitelli, diplomato all’istituto tecnico E. Mattei di Rho) che rende l’idea di dove vi andrete a infilare (ridendo di continuo per le molte trovate esilaranti) se leggerete questa storia. Ah, per chi non lo sapesse: Sombrero è un cavallo.

“Ecco allora, guardi, glielo dico da amico, contro i miei interessi, oggi è la terza rapina. Non è che ci è rimasto molto in cassa, lo dico per lei, sia chiaro, non è che può tornare domani?”
“Ma non vedi, stronzo!” esplode l’Eugenio “ho una pistola in mano e non ho nessun problema a usarla.”

Insomma, consiglio la lettura, unica pecca: la trascrizione del dialetto milanese. Gli autori ne sono consapevoli e se ne scusano con un disclaimer finale, ma a mio avviso la farei rivedere da un esperto del settore. Last but not list: io ci vivevo, quel quartiere di Milano, in quegli anni, era detto “La Cagnola”, al femminile. “Il Cagnola” non si può sentire.

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