Claudio Coletta decide di osare con questo romanzo, di osare ancora e cambiare genere di racconto ma non certo di scrittura. La sua è sempre una scrittura elegante e delicata, mai sopra le righe. Un libro di classe esattamente aderente alla linea Sellerio. Ma intraprende la strada dell’introspezione.
L’autore sceglie la narrativa per il suo nuovo romanzo pubblicato con la casa editrice palermitana. Un racconto introspettivo dalle tinte fosche. Un mistero da risolvere per la protagonista che a tutti i costi vuole sapere le motivazioni della scomparsa di suo fratello. Chiara, la protagonista, dovrà fare i conti con il passato che ha le sue radici negli anni della lotta studentesca universitaria. Il sessantotto a Roma torna nei racconti di Coletta dopo Viale del Policlinico (sempre edito da Sellerio). Chiara dovrà entrare nel rapporto fra suo fratello Michele e l’amico di tante battaglie politiche, Simone, per conoscere più a fondo le motivazioni di tanti accadimenti ed approdare a una verità. Triste e scomoda.
Il romanzo gira intorno a pochi personaggi, tutti appena descritti, accennati, eterei in una storia che predilige la descrizione dei paesaggi delle Langhe in inverno, lo spettacolo della natura di alta montagna con il suo clima mutevole, i suoi paesaggi intriganti e avvolgenti, prepotenti quanto unici.
Sicuramente il personaggio più importante per la vita di Chiara è il piccolo Davide che crea empatia nel lettore maggiormente rispetto agli altri. Con lui sembra ritrovare a tratti serenità e sicurezza. A lui a volte sembra aggrapparsi per non precipitare nel baratro dei suoi pensieri. Chiara è a tutti gli effetti la voce narrante perché tutta la storia è sua, solo e assolutamente sua; è Chiara a dover dipanare la matassa dei suoi pensieri, è Chiara a dover accettare una serie di verità scomode e dolorose, è Chiara il fulcro di tutta la storia con la sua ricerca personale della verità.
I personaggi ruotano intorno a lei e intorno alla sua storia, ne fanno parte a volte in maniera più profonda a volte solo marginalmente. Ma non si scappa mai dai ricordi di una vita che ti presentano all’improvviso il conto. Uno schiaffo in faccia che le mostra la realtà diversa da come pensava che fosse, diversa da come pensava di averla vissuta.
Coletta, come detto, prova un nuovo tipo di scrittura, una nuova storia. Non si discosta assolutamente dal suo modo di scrivere semplice e scorrevole, ma forse, leggendo questo romanzo (che poteva essere più approfondito in qualche dettaglio) penso che gli sia più consono il meccanismo del giallo che non quello dell’introspezione. È un semplice parere che deriva dall’attenta lettura di tutti i precedenti romanzi dell’autore, gialli classici, eleganti e godibili (da leggere se non li conoscete ancora).
Resta il fatto che è una narrativa che si lascia leggere e abbracciare piano piano, che resta dentro ai pensieri del lettore alla fine del libro e che rivendica il bisogno di decantare lentamente per rilasciare poi invece tutta la sua essenza.