Ovunque andrò
«Quella notte, ai piani centrali del vecchio BeiArt di Pechino, qualcuno aveva visto qualcosa cadere oltre i vetri della camera da letto. Una grossa sagoma nera.» La sagoma è Raniero Monforti, imprenditore. Suicidio o delitto? La prima sospettata è, naturalmente, la moglie Tania, ma passano due anni prima che arrivi la vigilia della sentenza; ed è in quella notte di attesa che lei ricostruisce, per un uditorio immaginario, la storia di una morte forse annunciata. Tutta la storia, fin dall’inizio: perché la verità arriva da molto lontano. Da un paese chiamato Castrappeso, letteralmente tagliato in due da una frana che nel 1935 ha diviso a metà palazzo Di Salvia, segnando il destino di una famiglia. Dagli incredibili personaggi che attraverso quasi un secolo hanno costruito una dinastia e una fabbrica di pellami di successo, nella remota Basilicata. Dalle scelte dell’ultima erede di quella dinastia, Tania, e di suo marito Raniero che di quel patrimonio è stato l’ultimo custode, il traghettatore dell’azienda nell’era della globalizzazione e nell’Oriente misterioso e forse infido. Con “Ovunque andrò”, Piera Carlomagno dà vita a una straordinaria metamorfosi di forme narrative, combinando la suspense del giallo internazionale con le atmosfere e la ricchezza di una grande saga famigliare lucana. Il risultato è un romanzo teso e incalzante, abitato da personaggi tanto eccentrici da scandire il Novecento, sorprendente fino all’ultima pagina.
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Recensione a cura di Dario Brunetti

Cosa unisce Pechino, l’avveniristica capitale della Cina e un’arcaica e rurale Basilicata? Ce lo racconta la scrittrice Piera Carlomagno che grazie alle sue abili doti letterarie ha voluto questa volta alzare ancor di più l’asticella coinvolgendo il lettore in un progetto molto ambizioso quanto sperimentale.

Ovunque andrò uscito per Solferino editore tratta la storia di una dinastia familiare iniziata nei primi del 900 fino ad arrivare al 2015.

Un uomo è precipitato oltre i vetri della sua camera da letto appartenente ai piani centrali del vecchio BeiArt di Pechino. Si tratta di Raniero Monforti, un imprenditore di successo e direttore generale della divisione cinese italiana R&C Pelli.

La morte dell’uomo è dovuta a un suicidio oppure a un delitto?

I sospetti cadono tutti sulla moglie Tania accusata di aver assassinato Raniero, ma ci vogliono due anni affinché venga emessa la sentenza che andrà a decretare la colpevolezza o meno della donna.

Tania ci riporterà indietro nel tempo e precisamente nel 1935 dove un terremoto ha colpito un piccolo paese denominato Castrappeso, decidendo per sempre le sorti della famiglia Di Salvia.

Erano le 12:57. In due minuti era accaduto tutto.

Scarmigliati, sporchi, con gli occhi spiritati e le facce bianche, gli abitanti di Castrappeso si avvicinarono a guardare quella che da allora in poi avrebbero chiamato “la crepa” e che divideva il paese in due parti.

Al centro un buco, un largo cratere con dentro l’infinito, spaccava esattamente a metà quello che era stato palazzo Di Salvia.

Tania ci fa rivivere quegli attimi di un destino segnato, ma ci narra la storia di una dinastia familiare che si era contraddistinta nella fabbricazione di pellami e a quei tempi il marito Raniero, si faceva chiamare da tutti Gianni ed era un giovane napoletano che proveniva dai quartieri popolari.

Sarà proprio la fabbrica di pellami, il punto in cui si andrà a focalizzare la storia nel suo evolversi che vedrà in contrapposizione suo padre Aftonio e il pericoloso quanto infingardo marito Raniero impadronirsi della nota azienda dandole uno sbocco in Oriente per una scalata al successo.

La vicenda assume i contorni torbidi del noir nel quale la Carlomagno si destreggia con assoluta padronanza, ma in questo romanzo dalle molteplici forme stilistiche, la scrittrice riesce ad andare davvero oltre le aspettative fornendoci una lettura avvolgente capace di non dare alcun punto di riferimento risultando imprevedibile e al tempo stesso spiazzante.

In Ovunque andrò non si viene solo catturati dal fascino del mistero degno del miglior giallo d’autore, ma da quell’introspezione insita nel ricordo e nella fragilità delle emozioni che possono trovare dimora nella vita di ciascuno. Tania ne è un tipico esempio, non solo è la voce narrante, ma è la memoria storica di intere esistenze che si sono susseguite nel corso del tempo.

Nel romanzo non si ha una netta definizione del presente, perché se la Basilicata rappresenta il passato che contiene tante piccole storie appartenenti a ciascun personaggio del Novecento, al contrario Pechino è il futuro, il mondo nuovo nel quale Raniero Monforti si vuol proiettare attraverso il suo sfrenato arrivismo.

Lo stesso futuro lo vuole conoscere Tania che è in attesa di una sentenza che la dovrà giudicare colpevole o innocente del delitto di suo marito Raniero.

Il presente assume una concezione di tempo infinito ed è suddiviso contemporaneamente da un passato e un futuro (per riprendere una teoria del filosofo francese Gilles Deleuze tratta dalla Logica del Senso).

Storie familiari che si intrecciano e si mescolano per un romanzo che assume una variegata serie di colori, come se ci trovassimo davanti a un affresco che stiamo contemplando attraverso tante angolature per catturarne la vera essenza.

Ovunque andrò può sembrare un romanzo strutturalmente complesso e articolato, ma sono proprio queste peculiarità che danno spessore al testo che si distingue per l’ottima tecnica narrativa e per il modo in cui lo si è voluto concepire, la sua autenticità quindi, ne diviene un valore aggiunto.

Scopriremo due mondi lontanissimi che troveranno il loro punto di convergenza.

Non ci resta che dire, chapeau!

 

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