Erano passati parecchi anni dal romanzo di esordio di Mattia Bernardo Bagnoli, da “Bologna permettendo” (2009) che uscì con una frase di lancio del maestro Carlo Lucarelli. E con felice sorpresa l’ho ritrovato tra le letture estive di questo 2018, stavolta a quattro mani con Roberto Lamma. Due autori, dunque. E due vissuti reciproci. Il primo, quello di Bagnoli, giornalista Ansa nelle sedi estere, prima a Londra e poi a Mosca. Il secondo, quello di Lamma, avvocato con una grande passione civile di opposizione dura e pura all’interno di quel sistema strano che – come emerge dalla reticolazione narrativa di questo romanzo – è la provincia di La Spezia. Due vissuti, appunto, che riprendono forma nei due personaggi chiamati ad indagare sulle stranezze di un sistema fatto di storture e di protezioni di una rete criminale e di poteri occulti, con riferimento alle ecomafie, alla gestione dei rifiuti e allo smaltimento via mare dei rifiuti speciali: il giornalista Mauro Pilger e l’avvocato Lorenzo Arra.
Ebbene, la struttura di narrazione cui danno vita gli autori non fa sconti: anzi, è dura, spietata, piena di colpi di scena sin dalle prime pagine, e a mano a mano che la trama principale e le sottotrame si sviluppano, capitolo dopo capitolo, ci si rende conto con una percezione di amarezza disarmante di essere di fronte a un quadro desolante, raccapricciante, che tuttavia risulta resistente, difficile da smontare, tanto è forte la rete di potere – ufficiale e occulto – che continua a mantenersi in piedi con una pervicacia sconcertante. Ed è proprio così che dietro la bella immagine di facciata del levante spezzino, con le sue bellezze e tipicità delle Cinque Terre, emerge un quadro complessivo sconcertante, dove le attività investigative non provengono dalla magistratura di quel territorio provinciale, bensì addirittura dagli organi giudiziari di un altro territorio, quello del basso Piemonte, ad opera di un gruppo di ufficiali investigatori pronti a tener duro con un coraggio, una costanza e un senso delle istituzioni a dir poco ammirevole. L’amarezza che traspare in tutta la narrazione è quella di uno sforzo comune, da parte di più soggetti, nelle rispettive angolazioni, chiamati a combattere quel sistema marcio, ma che nel contempo non riescono a trovare – nonostante gli impegni profusi fino in fondo – le giuste ragioni, ritrovandosi con un pugno di mosche in mano. Un sistema che regge di fronte alle onde d’urto, un meccanismo di autotutela al limite estremo del legale per la protezione di obiettivi illegali, gli stessi che si celano di fronte all’omicidio – rimasto tuttora insoluto – della giornalista Ilaria Alpi. Reati ambientali che si consumano nel mare aperto, cisterne trasferite nelle navi in partenza dal porto di La Spezia e sparite chissà dove. Un destino pieno di profonda amarezza, e che questo romanzo fa emergere con un senso di drammaticità palpabile. Un libro, questo, che suscita parecchie riflessioni nel lettore. E che va oltre la mera narrazione giallistica, ma si trasforma in un vero e proprio strumento di inchiesta, e di invito al lettore a ragionare, a riflettere, e poi ad agire.
Nerogolfo rappresenta dunque uno straordinario esempio di narrativa civile, un noir di inchiesta (purtroppo) autoconclusivo, e non destinato a futuri seguiti, ma che – proprio grazie alla sua unicità nel trattare il microcosmo provinciale spezzino nei suoi pregi e difetti – riesce a fornire un quadro d’insieme, molto esemplificativo e con tratti di notevole realismo dell’Italia degli ultimi decenni, con i suoi alti e bassi, con le sue luci e le sue ombre, le stesse che si vivono nella Capitale, ben tratteggiate ad esempio dal duo Bonini-De Cataldo nella duologia di “Suburra”, ma che esplodono con altrettanta potenza narrativa nel microcosmo dell’estremo levante di una Liguria, finora poco (o per nulla) conosciuto, e che finalmente emerge in modo dettagliato e assolutamente coinvolgente.