Nerogolfo
Spezia, 1996. Osvaldo Bava, potente imprenditore locale e boss assoluto nel campo dello smaltimento dei rifiuti, viene arrestato. La discarica di Belvedere, piccola frazione che domina il porto cittadino, viene sequestrata. Con Bava finiscono in carcere alcune personalità-chiave della Pubblica Amministrazione spezzina – da anni saldamente controllata dal Partito Riformista di Sinistra. Il gotha del partito e in subbuglio: i magistrati di Arquata Po, il piccolo centro del Nord dove ha origine l’inchiesta, con le loro indagini rischiano di portare a galla decenni d’inconfessabili accordi e malepratiche di governo del territorio. Cosa si nasconde realmente nella pancia della discarica di Belvedere? Chi trae vantaggio dal losco commercio dei rifiuti tossico-nocivi d’origine industriale? Lorenzo Arra, non più giovane avvocato di Spezia che ha l’hobby di far le pulci ai signorotti della zona, vede d’improvviso confermate le sue peggiori ipotesi. E decide di non restare con le mani in mano. Contemporaneamente, il colonnello dei Servizi Segreti Tazio Ambrosi rientra da una lunga missione in Somalia. Ufficiale onesto e fedele alla Costituzione, nel Corno d’Africa ha dovuto assistere allo sgretolamento del Paese un tempo colonia dell’Impero italiano. La Somalia è infatti allo sbando. La missione Restore Hope dell’Onu è fallita e a dominare sono i signori della guerra. Che per avere accesso alle armi sono pronti a spalancare le porte del Paese allo smaltimento dei peggiori rifiuti, anche radioattivi, prodotti in Italia e in Europa. E la città di Spezia, in tutto questo, c’entra eccome. Tazio torna a Roma sconvolto. E contatta il suo vecchio amico Oscar De Vincentis, incaricato delle indagini sulla discarica di Belvedere. Non può accettare ciò che il suo capo, e per estensione, lo Stato, gli ordina: tacere e obbedire. Dieci anni dopo Mauro Pilger, reporter italo-britannico di una rivista di viaggi e turismo, viene invitato a Spezia per un tour organizzato dalla Provincia. Ben presto, però, capisce che qualcosa non quadra: dietro alle bellezze naturali del golfo si cela in realtà una guerra silenziosa tra due diverse concezioni di sviluppo economico. Mauro, che può vantare origini spezzine da parte di madre, sceglie quindi di restare e indagare, in barba a stipendio e stabilità. Le sue ricerche lo porteranno a confrontarsi con l’arroganza dei potenti, la disperazione dei più deboli nonché una verità familiare molto diversa da quella in cui ha sempre creduto. Ma, soprattutto, farà la conoscenza di Lorenzo Arra: i due uniscono le forze e, insieme, riescono a dare un senso al perché Bava e soci di fatto sono degli intoccabili. Sullo sfondo, quello che assume i connotati di un vero e proprio intrigo internazionale: il porto di Spezia, oltre che uno dei terminali delle navi a perdere, le carrette affondate nel Mediterraneo pur di far sparire il loro carico di veleni a costo zero, si scopre essere il teatro di un inconfessabile patto tra Russia e Stati Uniti.
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Erano passati parecchi anni dal romanzo di esordio di Mattia Bernardo Bagnoli, da “Bologna permettendo” (2009) che uscì con una frase di lancio del maestro Carlo Lucarelli. E con felice sorpresa l’ho ritrovato tra le letture estive di questo 2018, stavolta a quattro mani con Roberto Lamma. Due autori, dunque. E due vissuti reciproci. Il primo, quello di Bagnoli, giornalista Ansa nelle sedi estere, prima a Londra e poi a Mosca. Il secondo, quello di Lamma, avvocato con una grande passione civile di opposizione dura e pura all’interno di quel sistema strano che – come emerge dalla reticolazione narrativa di questo romanzo – è la provincia di La Spezia. Due vissuti, appunto, che riprendono forma nei due personaggi chiamati ad indagare sulle stranezze di un sistema fatto di storture e di protezioni di una rete criminale e di poteri occulti, con riferimento alle ecomafie, alla gestione dei rifiuti e allo smaltimento via mare dei rifiuti speciali: il giornalista Mauro Pilger e l’avvocato Lorenzo Arra.

Ebbene, la struttura di narrazione cui danno vita gli autori non fa sconti: anzi, è dura, spietata, piena di colpi di scena sin dalle prime pagine, e a mano a mano che la trama principale e le sottotrame si sviluppano, capitolo dopo capitolo, ci si rende conto con una percezione di amarezza disarmante di essere di fronte a un quadro desolante, raccapricciante, che tuttavia risulta resistente, difficile da smontare, tanto è forte la rete di potere – ufficiale e occulto – che continua a mantenersi in piedi con una pervicacia sconcertante. Ed è proprio così che dietro la bella immagine di facciata del levante spezzino, con le sue bellezze e tipicità delle Cinque Terre, emerge un quadro complessivo sconcertante, dove le attività investigative non provengono dalla magistratura di quel territorio provinciale, bensì addirittura dagli organi giudiziari di un altro territorio, quello del basso Piemonte, ad opera di un gruppo di ufficiali investigatori pronti a tener duro con un coraggio, una costanza e un senso delle istituzioni a dir poco ammirevole. L’amarezza che traspare in tutta la narrazione è quella di uno sforzo comune, da parte di più soggetti, nelle rispettive angolazioni, chiamati a combattere quel sistema marcio, ma che nel contempo non riescono a trovare – nonostante gli impegni profusi fino in fondo – le giuste ragioni, ritrovandosi con un pugno di mosche in mano. Un sistema che regge di fronte alle onde d’urto, un meccanismo di autotutela al limite estremo del legale per la protezione di obiettivi illegali, gli stessi che si celano di fronte all’omicidio – rimasto tuttora insoluto – della giornalista Ilaria Alpi. Reati ambientali che si consumano nel mare aperto, cisterne trasferite nelle navi in partenza dal porto di La Spezia e sparite chissà dove. Un destino pieno di profonda amarezza, e che questo romanzo fa emergere con un senso di drammaticità palpabile. Un libro, questo, che suscita parecchie riflessioni nel lettore. E che va oltre la mera narrazione giallistica, ma si trasforma in un vero e proprio strumento di inchiesta, e di invito al lettore a ragionare, a riflettere, e poi ad agire.

Nerogolfo rappresenta dunque uno straordinario esempio di narrativa civile, un noir di inchiesta (purtroppo) autoconclusivo, e non destinato a futuri seguiti, ma che – proprio grazie alla sua unicità nel trattare il microcosmo provinciale spezzino nei suoi pregi e difetti – riesce a fornire un quadro d’insieme, molto esemplificativo e con tratti di notevole realismo dell’Italia degli ultimi decenni, con i suoi alti e bassi, con le sue luci e le sue ombre, le stesse che si vivono nella Capitale, ben tratteggiate ad esempio dal duo Bonini-De Cataldo nella duologia di “Suburra”, ma che esplodono con altrettanta potenza narrativa nel microcosmo dell’estremo levante di una Liguria, finora poco (o per nulla) conosciuto, e che finalmente emerge in modo dettagliato e assolutamente coinvolgente.

 

 

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