Se è vero, come lo è, che sono i personaggi e non le storie a fare la letteratura, eccovi apparecchiati, non tre, ma quattro personaggi che riempiono da soli, con la loro ingombrante presenza, le pagine di questi tre racconti. Lo squilibrio numerico dipende dal fatto che nel terzo scritto i protagonisti sono (necessariamente direi) due.
Andiamo per ordine.
In smetti di guardare, di Franco Forte, è in campo una specie di “mostro” di tutte le brutture. Si tratta del giovane rampollo di una famiglia criminale di bassa caratura ma di abiezione esemplare. Da una simile accolita potresti aspettarti di tutto, e in particolare dal degno erede, il fatto è che si va oltre, senza alcun ritegno e la conclusione della storia è un sigillo che sarebbe quasi venuto pudicamente da attenuare nella sua catastrofica assolutezza.
In lookdown si prende la scena una specie di sublimazione del Vito Catozzo falettiano, un poliziotto rodomonte che si crede chissà chi e invece è l’ultima ruota del carro, un poveraccio di proporzioni mastodontiche, non plus ultra dei difetti, personali e professionali, degli “sbirri” incolti e proletari di periferia.
In Teatranti, la dissoluzione della coppia viene trattata nel modo più impietosamente simbolico: il suo teatro è appunto il palcoscenico, dove non c’è niente di vero ma, a volte, e sempre quando si tocca la perfezione interpretativa, la vita irrompe nella sua sconvolgente, emblematica distruttività.