Morimondo
Il Po, anzi Po senza articolo, è il grande fiume, il fiume per eccellenza. Sembra facile collocarlo, leggerlo sulle carte, menzionarne la storia. Invece no. Forse ne sappiamo pochissimo, e conoscerlo significa lasciarlo apparire là dove muore un mondo perché un altro nasca. Paolo Rumiz ci racconta che quando gli argonauti, lui e il suo equipaggio, hanno cominciato a solcarne le acque è andata proprio così: Po visto dal Po è un Dio Serpente, una voce sempre più femminile irruente e umile, arrendevole e solenne, silente fra le sue rive deserte. Paolo Rumiz sa fare del Po un vero protagonista, per la prima volta tutto narrato a fior d’acqua, in un abbandono dei sensi inedito, coinvolgente, che reinterpreta i colori delle terre e dei fondali, i cibi, i vini, i dialetti, gli occhi che lo interrogano, lo sfiorano, lo scrutano. E poi ci sono gli incontri con il “popolo” del fiume, ma anche con personalità legate dall’amore per il fiume come la cacciatrice di luoghi Valentina Scaglia, il raffinato corsaro Paolo Lodigiani, il traghettatore dantesco Angelo Bosio, il collezionista di immagini Alessandro Scillitani, l’amico dei venti Fabio Fiori, l’esploratore Pierluigi Bellavite, lo scrittore Valerio Varesi e l’amico Francesco Guccini. Cominciata come reportage e documentario, l’avventura sul Po è diventata un romanzo, un viaggio interiore, un’avventura scavata nell’immaginazione, carezzata da fantasmi, a due passi dall’anima.
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Prima di passare a recensire questa ennesima gemma di Paolo Rumiz che è riduttivo definire romanzo perché narrativamente si muove con leggerezza tra un saggio, una cronaca giornalistica e quello che possiamo considerare una sorta di diario di bordo, come altre molte opere di Rumiz in cui si muove la sua curiosità e la sua energia di instancabile viaggiatore, ritengo opportuno come, di recente la Fondazione Campiello gli ha assegnato il “Premio Speciale alla Carriera” con la motivazione che il riconoscimento a Paolo Rumiz della  anima di instancabile viaggiatore che, attraverso la sua scrittura ha costruito un “ponte culturale solido tra popoli e nazioni”. Rumiz, attraverso i suoi viaggi (Morimondo ne è un esempio) ha dato vita a degli splendidi romanzi, mostrando quanto la conoscenza possa essere strumento di unione e di comprensione. Il viaggio e il racconto che ne sintetizza il contenuto dà modo ai lettori di vivere le stesse emozioni di Rumiz come se lo accompagnassero nelle sue avventure. I racconti hanno travalicato frontiere e abbattuto muri facendo i Rumiz un cittadino del mondo.

Morimondo, un nome che in prima battuta non assume un significato, ma è il nome con cui Rumiz chiama sua altezza il Po, anzi Po, come lo definisce personificandolo, senza articolo questa estensione d’acqua che serpeggia dal Monviso fino al suo delta che sfocia incuneandosi nel mar Adriatico. Il fiume per eccellenza, troppe volte dimenticato, bistrattato, sfruttato, ma mai domato. Rumiz con un gruppo di compagni di avventura, soprannominati “Gli Argonauti” rievocando il mito degli eroi che capitanati da Giasone attraversano mille odisseiche imprese, viaggiarono alla conquista del “Vello D’Oro”. I nuovi argonauti con il loro moderno Giasone navigano sul re dei fiumi italiani, mutando varie imbarcazioni secondo la natura dei fondali, dei gorghi e delle correnti da affrontare. Rumiz ce ne offre una accurata descrizione e ne disegna la sagoma.  Tutto per corrispondere alle necessità che la navigazione richiede e che si devono affrontare lungo i molti chilometri del percorso.  Il lettore, attraverso la accurata descrizione, diviene un compagno di viaggio, vive le emozioni come le parole dello scrittore divenissero visione tangibile. “Il Po visto dal Po è un dio serpente” Il silenzio che lo avvolge nelle notti di navigazione divengono percezione per il lettore. Quando si parla di Po si evoca solo Torino che è l’unica città in cui il fiume assurge al ruolo di protagonista e riceve un adeguato rispetto. Altre città il dio serpente sfiora nel suo corso e che sembrano ignorarlo: Pavia, Cremona. Il gruppo degli argonauti procede tra mille insidie che sono disseminate lungo il corso del fiume. Ponti crollati le cui rovine sbucano dall’acqua e che minacciano di danneggiare le imbarcazioni. Ma i viaggiatori dalle difficoltà sembrano trarre nuova linfa. Le discariche abusive di residui industriali che imputridiscono le acque, ma Po è forte di mille risorse e gli affluenti che lo nutrono di nuova acqua ridanno la vita alla sua purezza. L’Adda, la Dora Baltea, il Tanaro solo per citarne alcuni. Rumiz si sofferma sulla descrizione del popolo del fiume che vive lungo le sue sponde. L’ospitalità nelle piccole trattorie con bicchieri di Bonarda e risotto con le rane. Perché Rumiz è scrittore che non teme fatica e sa godersi la vita. La fine del viaggio con il fiume che sboccia aprendosi a fiore nelle Valli Di Comacchio mi ha privato delle emozioni vissute in questa avventura con l’esaurirsi delle pagine di Morimondo di cui consiglio la lettura, come per tutti i romanzi di Rumiz che offrono pagine da vivere attraverso la stupenda descrizione che Rumiz ci dà di luoghi e persone.

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