Recensione a cura di Manuela Fontenova
Il destino ha voluto che finalmente mi cimentassi anche io con la scrittura di Joe Lansdale considerato da molti come il più geniale narratore contemporaneo. Di titoli alle spalle ne ha molti, la serie di Hap e Leonardo è familiare un po’ a tutti (anche dopo la miniserie tv che ne è stata tratta). Il mio primo incontro con l’autore risale a qualche anno fa ma in veste di traduttrice di una sua prolissa e simpatica intervista: all’epoca mi fu alquanto difficile star dietro alle mille parole, passioni e cambi di argomenti di questo poliedrico personaggio e la stessa esuberanza mi pare di averla ritrovata tra le pagine del suo nuovo romanzo Moon Lake.
Siamo nel Texas orientale alla fine degli anni ’60, c’è un vecchio ponte e una macchina ferma. La luna si riflette nelle acque del Moon Lake che anni fa sommerse la vecchia città di Long Lincoln dando vita al bacino artificiale che spazzò via le radici di chi vi nacque, come l’uomo alla guida che, perso nei ricordi di ciò che fu, preme l’acceleratore portandosi dietro speranze, ricordi e segreti. Sul sedile posteriore è seduto suo figlio Daniel che di anni ne ha quattordici. Lui si salva, cresce e cerca di destreggiarsi nella vita come può ma è pur sempre un giovane uomo che è stato quasi ucciso dal padre. Passano dieci anni e finalmente il lago restituisce a “Danny” ciò che resta dell’auto e di quella tragica notte: la siccità rivela la vecchia città ancora carica di misteri sotto al cielo soffocante di un’estate che affanna il respiro di tutti.
Danny adesso ha ventiquattro anni, è un giornalista e ha già debuttato come scrittore ma l’eco del passato lo spinge a lasciare tutto e a scavare tra la melma di quei fondali che per troppo tempo hanno tenuto al sicuro terribili segreti.
Una delle prime cose che mi viene in mente è che la storia mi ha spiazzata, immaginavo un’altra evoluzione, un’altra trama e un altro finale. Questo mi ha sorpreso perché la scrittura non è statica ma dinamica probabilmente tipica dello stile di Lansdale che riesce a trascinare il lettore esattamente dove vuole e quando vuole. Come? Vi sfido a non sentirvi immersi negli anni ’70, a non immaginare la città assolata, New Long Lincoln nata in seguito alla creazione del lago. Sono anni particolari e di transizione, anni in cui la barriera razziale divide ancora la comunità nera dalla bianca, in cui la legge può essere surclassata dal potere del denaro e il passato è una scatola che non va scoperchiata.
Mi è particolarmente piaciuto il modo in cui sono stati descritti i personaggi anche a livello di caratterizzazione fisica: non ci sono grandi aggettivi o metafore, descrizioni asciutte e funzionali ma dettagliate quel tanto che basta a delineare nella propria mente le figure in scena. Sicuramente è tutto frutto di una grande abilità narrativa ma non avendo mai letto nulla di Lansdale ho trovato questa una caratteristica che lo differenzia da molti altri autori.
Leggere Moon Lake è come guardare un film americano degli anni ’70 aspettando con trepidazione il prossimo colpo di scena o l’indizio che finalmente ti permetterà di capire chi ci sia a guidare tutta la baracca.
“Mi chiamo Daniel Russel, e sogno acque nere”
E noi sogniamo con te Danny…