La notte delle scimmie
Ventimiglia 1936. Nel castello di Serge Voronoff sono rinchiuse in una gabbia ottanta scimmie. Servono allo scienziato per le operazioni d’innesto di tessuto tra animale e uomo. Una notte la vita del castello è sconvolta da un delitto anomalo. A indagare è chiamato un investigatore privato, acuto e convenzionale, Martin Giles. Nonostante la sua presenza gli omicidi non si fermano, generando sospetti e odi tra gli abitanti del castello. È fra loro che si cela l’assassino? In un susseguirsi di colpi di scena, l’ineluttabile epilogo sconcerterà tutti, ma il più turbato sarà proprio l’investigatore, Martin Giles.
Scimmie, segreti e sospetti: la recensione di un thriller che sfida l’etica

Ci sono libri che, fin dalle prime pagine, ti fanno capire che non saranno una semplice lettura di intrattenimento. La notte delle scimmie di Lorenzo Beccati è uno di questi. Confesso che, quando ho iniziato, l’idea di un romanzo ambientato nel 1936 tra gabbie di scimpanzé e folli esperimenti medici mi aveva lasciata un po’ perplessa. Eppure, pagina dopo pagina, mi sono trovata catturata da un intreccio che mescola storia, mistero e riflessione etica, con uno stile che non permette di staccarsi.

Il cuore della vicenda è il castello di Serge Voronoff, personaggio realmente esistito: un chirurgo russo naturalizzato francese, famoso negli anni Venti e Trenta per i suoi esperimenti di innesto di tessuti animali sull’uomo. Oggi le sue teorie fanno rabbrividire, ma all’epoca furono prese sul serio da uomini ricchi e potenti, pronti a tutto pur di sentirsi eternamente giovani. Ed è proprio qui che Beccati inserisce la sua trama noir: mentre le scimmie vengono allevate come “donatrici” di vitalità, qualcuno inizia a ucciderle una dopo l’altra.

A indagare viene chiamato Martin Giles, un investigatore privato che ha il fascino del classico detective: intelligente, ironico, capace di farsi strada in un ambiente chiuso e pieno di segreti. Giles non è un eroe senza macchia – anzi, ha le sue debolezze e le sue avventure galanti – ma forse proprio per questo diventa subito credibile e vicino al lettore.

La forza del romanzo, però, non sta solo nell’intreccio giallo (ricco di colpi di scena e piste che si intrecciano), ma soprattutto nell’atmosfera. Beccati è bravissimo a ricostruire la Ventimiglia del 1936: il contrasto tra i venti di guerra che già soffiano sull’Europa e la vita dorata dentro il castello, fatta di ricevimenti, brindisi, conversazioni mondane e servitù impeccabile. E nello stesso tempo non dimentica la crudeltà nascosta dietro quelle mura, dove decine di scimmie sono rinchiuse in gabbia come cavie. Non è solo un dettaglio di trama: è il cuore di una riflessione che attraversa tutto il romanzo, mettendo in luce quanto poco contasse la sensibilità verso gli animali in quell’epoca.

Mi è piaciuto molto anche il modo in cui l’autore alterna registri diversi: ci sono momenti cupi e inquietanti, degni del miglior noir, ma anche sprazzi ironici e quasi leggeri, che ricordano al lettore che la vita – persino in mezzo al dolore e agli orrori – non è mai solo bianca o nera. In questo equilibrio tra serietà e ironia c’è, secondo me, la mano più felice di Beccati.

Un altro aspetto che ho apprezzato è l’uso di figure storiche reali, che danno spessore al racconto. Voronoff non è inventato: era davvero uno scienziato ricco, discusso, ammirato e deriso. Lo hanno citato autori come Conan Doyle e Bulgakov, i Fratelli Marx e persino Fred Buscaglione. Beccati prende questa base documentata e ci costruisce intorno una vicenda che, pur essendo di fantasia, mantiene sempre un sapore autentico.

Il finale, che ovviamente non rivelo, è insieme disturbante e coerente con tutto ciò che abbiamo letto. Non lascia un senso di chiusura rassicurante, ma piuttosto un brivido e una domanda: fino a che punto si può spingere l’ambizione dell’uomo? E cosa siamo disposti a sacrificare pur di inseguire potere, giovinezza e immortalità?

La notte delle scimmie non è solo un giallo ben congegnato, ma un libro che invita a riflettere. Non è un romanzo che si dimentica facilmente: resta addosso per le immagini forti, per la bellezza crudele del castello, per la voce di un investigatore che non smette di fare domande. Ed è questo, in fondo, che cerco nei libri: una storia che mi intrattenga, sì, ma che mi lasci anche un segno.

Consigliato a chi ama i noir storici, a chi è incuriosito dalle pagine meno note del Novecento e, soprattutto, a chi non teme di guardare in faccia le ombre dell’animo umano.

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