Ci sono libri che, fin dalle prime pagine, ti fanno capire che non saranno una semplice lettura di intrattenimento. La notte delle scimmie di Lorenzo Beccati è uno di questi. Confesso che, quando ho iniziato, l’idea di un romanzo ambientato nel 1936 tra gabbie di scimpanzé e folli esperimenti medici mi aveva lasciata un po’ perplessa. Eppure, pagina dopo pagina, mi sono trovata catturata da un intreccio che mescola storia, mistero e riflessione etica, con uno stile che non permette di staccarsi.
Il cuore della vicenda è il castello di Serge Voronoff, personaggio realmente esistito: un chirurgo russo naturalizzato francese, famoso negli anni Venti e Trenta per i suoi esperimenti di innesto di tessuti animali sull’uomo. Oggi le sue teorie fanno rabbrividire, ma all’epoca furono prese sul serio da uomini ricchi e potenti, pronti a tutto pur di sentirsi eternamente giovani. Ed è proprio qui che Beccati inserisce la sua trama noir: mentre le scimmie vengono allevate come “donatrici” di vitalità, qualcuno inizia a ucciderle una dopo l’altra.
A indagare viene chiamato Martin Giles, un investigatore privato che ha il fascino del classico detective: intelligente, ironico, capace di farsi strada in un ambiente chiuso e pieno di segreti. Giles non è un eroe senza macchia – anzi, ha le sue debolezze e le sue avventure galanti – ma forse proprio per questo diventa subito credibile e vicino al lettore.
La forza del romanzo, però, non sta solo nell’intreccio giallo (ricco di colpi di scena e piste che si intrecciano), ma soprattutto nell’atmosfera. Beccati è bravissimo a ricostruire la Ventimiglia del 1936: il contrasto tra i venti di guerra che già soffiano sull’Europa e la vita dorata dentro il castello, fatta di ricevimenti, brindisi, conversazioni mondane e servitù impeccabile. E nello stesso tempo non dimentica la crudeltà nascosta dietro quelle mura, dove decine di scimmie sono rinchiuse in gabbia come cavie. Non è solo un dettaglio di trama: è il cuore di una riflessione che attraversa tutto il romanzo, mettendo in luce quanto poco contasse la sensibilità verso gli animali in quell’epoca.
Mi è piaciuto molto anche il modo in cui l’autore alterna registri diversi: ci sono momenti cupi e inquietanti, degni del miglior noir, ma anche sprazzi ironici e quasi leggeri, che ricordano al lettore che la vita – persino in mezzo al dolore e agli orrori – non è mai solo bianca o nera. In questo equilibrio tra serietà e ironia c’è, secondo me, la mano più felice di Beccati.
Un altro aspetto che ho apprezzato è l’uso di figure storiche reali, che danno spessore al racconto. Voronoff non è inventato: era davvero uno scienziato ricco, discusso, ammirato e deriso. Lo hanno citato autori come Conan Doyle e Bulgakov, i Fratelli Marx e persino Fred Buscaglione. Beccati prende questa base documentata e ci costruisce intorno una vicenda che, pur essendo di fantasia, mantiene sempre un sapore autentico.
Il finale, che ovviamente non rivelo, è insieme disturbante e coerente con tutto ciò che abbiamo letto. Non lascia un senso di chiusura rassicurante, ma piuttosto un brivido e una domanda: fino a che punto si può spingere l’ambizione dell’uomo? E cosa siamo disposti a sacrificare pur di inseguire potere, giovinezza e immortalità?
La notte delle scimmie non è solo un giallo ben congegnato, ma un libro che invita a riflettere. Non è un romanzo che si dimentica facilmente: resta addosso per le immagini forti, per la bellezza crudele del castello, per la voce di un investigatore che non smette di fare domande. Ed è questo, in fondo, che cerco nei libri: una storia che mi intrattenga, sì, ma che mi lasci anche un segno.
Consigliato a chi ama i noir storici, a chi è incuriosito dalle pagine meno note del Novecento e, soprattutto, a chi non teme di guardare in faccia le ombre dell’animo umano.