Recensione a cura di Luciana Fredella
Fabrizio Ridolfi, un noto imprenditore molto impegnato nel sociale, ha subìto un’aggressione e e forse un tentato omicidio, sventato grazie alla presenza di un cacciatore sul luogo dell’esecuzione. Nonostante la competenza del caso sia dei carabinieri, a interrogare il testimone un nuovo personaggio, Cereda, un poliziotto di cui non si conosce il ruolo. Forse membro dei Servizi o forse della Digos, Cereda vuol capire cosa davvero si nasconde dietro la vicenda dell’imprenditore poichè è convinto che Ridolfi non abbia raccontato tutto. Per farsi aiutare in quella che non sarà un’indagine ufficiale quanto piuttosto “fantasma”, Augusto Lanza che impegnato in un incontro al vertice delegherà l’ispettore Ferraro. Il nostro ispettore però non è interessato a indagare sul presunto omicidio dell’imprenditore in quanto è preso dalla scomparsa di un ragazzo di 14 anni, Carlo, denunciata dalla mamma equadoriana, preoccupata che il ragazzo non sia rientrato a casa la sera precedente. La preoccupazione maggiore dell’ispettore é che il ragazzo sia entrato a far parte di una delle gang giovanili.
Se da un lato Ferraro condurrà con malavoglia le indagini su Ridolfi, dall’altro, per riuscire a trovare il ragazzo, si troverà immerso in un mondo nuovo, quello dei social.
Non sempre i noir si avvalgono di un omicidio per descrivere una società, una perversione o un’emergenza. Le suggestioni, gli stati di ansia o la suspense ci sono e chi legge se ne accorge solo quando riprende a respirare.
I cani del Barrio è pieno di storie nelle storie, di colpi di scena senza tralasciare la vena ironica che spezza con parti molto divertenti, scene di tensione o di riflessione. È un romanzo che parla di giovani particolari, di ragazzi che vivono nelle gang ovvero che non fanno parte della criminalità organizzata, ma rappresentano gruppi di quartiere composti da “cani sciolti” che cercano di trovare una loro identità nella logica del branco mettendo in evidenza un disagio generale, soprattutto degli adulti che non riescono a capire quali siano gli strumenti per comprendere e dialogare con i ragazzi, con i propri figli. Uno degli strumenti che l’autore usa per permettere a Ferraro di entrare nel linguaggio giovanile è fornito attraverso l’aiuto della figlia che grazie alla giovane etá e ai suoi studi, sa che per cercare Carlo dovrà avvalersi dello slang comune tra i giovani quello che usano sui social.
Chi è l’assassino? Come spesso dichiara l’autore durante le interviste, è il maggiordomo, spetta al lettore capire se sia davvero così o sia solo un modo di sviare l’attenzione