Conflitti, rancori e tensioni tra un gruppo di amici sconvolgono Aura, un’isola greca remota e disabitata – acquistata come regalo di nozze dal defunto marito Otto per Lana Farrar, ex star del cinema.
“Eravamo sette in tutto, intrappolati su quell’isola.
Uno di noi era un assassino”
Inizia così questo romanzo, nel quale l’autore esibisce senza pudore il voluto richiamo alla penna di Agatha Christie. Di lei, però, possiamo trovare solo un’eco sbiadita. Ma ve lo anticipano anche nella sinossi: questo non è un classico giallo.
Per metà libro ho avuto la sensazione di vivere un déjà vu: una casa su un’isola; un pugno di persone che si ritrovano lì, impossibilitate ad andare via. Vi ricorda qualcosa? Ma ripeto, l’autore non fa mistero di questi richiami e, per dare forza alla volontà del gesto, inserisce la Christie anche nei ringraziamenti finali.
Ci tengo a dire che la scrittura è scorrevole e il romanzo si legge con piacere e molto in fretta.
Però, ripeto, non è un giallo classico. Per essere tale avrebbe dovuto seguire i punti cardine del genere, e non lo fa. Non è nemmeno un thriller, mancano atmosfera e tensione. Di certo, il risvolto psicologico è al centro del racconto e tutto ruota attorno a Elliot, la voce narrante. È lui che fa il bello e il cattivo tempo. La trama cambia forma attraverso la sua voce. Come uno slime nelle mani di un bambino. È lui stesso a metterci in guardia.
“Lo dico in anticipo in modo che, se nel corso del racconto dovessi fuorviarti, tu capisca che non lo faccio apposta: è perché senza volere imprimo il mio punto di vista sui fatti narrati.”
Ma va avanti, e ci avverte ancora.
“… spero mi perdonerai una digressione ogni tanto… Siamo tutti narratori inaffidabili delle nostre storie.”
Mette le mani avanti. Non prendetevela con me se, a fine lettura, vi sentirete disorientati. Io vi avevo avvisati. Come dargli torto?
Devo essere sincera: questo romanzo mi è piaciuto ma, allo stesso tempo, mi ha infastidito. Come scritto prima, ho apprezzato la prosa. Le pagine scorrono senza inciampi e, tutto sommato, la curiosità resiste fino alla fine. Vuoi sapere dove l’autore stia andando a parare. Il fastidio invece deriva dal palese gioco introdotto, degno di un brillante prestigiatore. Dal cilindro esce un criceto anziché il coniglio che credevi ci fosse. Troverete anche due personaggi che capirete poco, se non avete letto i romanzi precedenti. Ma sono apparizioni fugaci, non compromettono la lettura.
È vero che nella scrittura si può – e si deve – sperimentare, ma da un autore di successo mi aspetto un minimo di originalità. Che qui non c’è. Il merito di Michaelides è quello di aver preso cliché e belle storie già scritte, mescolandoli con furbizia. Lo spessore dei protagonisti avrebbe potuto fare la differenza, nonostante tutto. Tuttavia, la voce narrante domina, lasciandoli in ombra. A voler pensare male (dicono che non si sbaglia mai) potrei ritenere questo libro come un riuscitissimo prodotto commerciale. In definitiva, La furia è un ottimo esercizio di stile e manipolazione narrativa.
Buona lettura!
