Nel genere giallo è molto difficile inventare qualcosa di nuovo. Lo è altrettanto imbattersi in storie che ripropongano con eleganza ed efficacia schemi classici, contribuendo alla vitalità e piacevole intramontabilità della letteratura poliziesca.
La fragilità degli angeli di Gigi Paoli appartiene a questa seconda categoria.
Come d’uso, non diremo nulla sul congegno narrativo, godibilissimo e ben calibrato, che merita di essere assaporato tutto dal lettore.
Merita invece un discorso a parte un aspetto di pari importanza nella narrativa gialla: il punto di vista o voce narrante che dir si voglia.
Il romanzo di Paoli si avventura con successo nel terreno minato della prima persona, facendoci vivere la storia con gli occhi di uno dei protagonisti, il giornalista di cronaca giudiziaria Carlo Alberto Marchi, alter ego dell’autore, cui tocca, come al solito, occuparsi di un tragico caso di duplice omicidio infantile, opera di un maniaco, tra l’incudine delle esigenze dell’informazione e il martello di quelle della magistratura inquirente.
Un compito che, come si può immaginare, lo porterà ad immergersi nel lato oscuro della natura umana, traendone un doloroso arricchimento.
Siamo nella splendida Firenze, ritratta quasi con pudore, senza compiacimento descrittivo, e Marchi ci introduce nei segreti (e sarebbe forse più appropriato dire “ferri del mestiere”) della sua professione, “sempre meglio che lavorare” secondo un conosciutissimo adagio, ma tuttavia assai simile, per l’impegno assorbente che richiede, ad una vocazione.
Marchi ha una vita privata tutt’altro che regolare, conseguenza diretta di un lavoro dai ritmi schizofrenici. “Ragazzo padre” di una figlia adolescente che tira su da solo con amore e fatica, manca di un rapporto sentimentale stabile, anche se non è insensibile al fascino femminile, che fatalmente gli si propone sotto forma di donne della cerchia della carta stampata e dei tribunali.
Tra i molti modelli di “voce narrante” poliziesca, accosterei Marchi, per l’approccio spigliato, il dinamismo e il gusto della battuta (senza trascurare il cronico stress da superlavoro…) all’ Archie Godwin di Rex Stout, abile e sveglio braccio destro operativo di Nero Wolfe.
Marchi ha persino un capo non meno scorbutico ed esigente del detective oversize di Manhattan amante delle orchidee.
Insomma: il romanzo di Paoli è raccomandato non solo a chi ama gli intrighi polizieschi ben strutturati, ma anche a chi vuol conoscere la tumultuosa, ma alla fine gratificante, quotidianità di un esponente “di trincea” della carta stampata.
- Collana: M