Nel panorama del thriller contemporaneo, pochi autori riescono a mescolare la cruda brutalità con l’eleganza narrativa come fa Pierre Lemaitre. Con Irène, secondo capitolo della trilogia del commissario Camille Verhoeven (pubblicato in Italia da Mondadori nel 2015), Lemaitre non si limita a raccontare una storia, costruisce una vera e propria trappola psicologica, in cui il lettore è tanto vittima quanto complice.
Il romanzo, dal titolo originale Travail Soigné (Lavoro Accurato), ci fa conoscere una delle figure più singolari del genere: il commissario Camille Verhoeven. Camille è geniale, acuto e meticoloso, nonostante, al tempo stesso, si riveli un uomo tormentato e segnato da un’esistenza difficile, oltre che da una condizione fisica – con soli 1,45 metri di altezza – che lo rende spesso anche oggetto di giudizi e atteggiamenti sgradevoli. La sua fragilità esteriore contrasta, però, con una forza interiore che restituisce un investigatore implacabile e, nel suo campo, rispettato come pochi altri.
La storia prende il via con un delitto che sconvolge persino gli investigatori più navigati e i giornalisti più sfacciati: in un elegante appartamento parigino vengono scoperti i resti orribilmente mutilati di due donne. La panoramica del crimine è talmente cruenta e l’orrore talmente forte da sembrare quasi una messa in scena macabra, un terribile quadro dipinto col sangue. Inoltre, i particolari del crimine sono così minuziosi che il commissario intuisce non essere casuali. Un secondo omicidio, risalente a non troppo tempo prima e altrettanto efferato, conferma i suoi sospetti: l’assassino non agisce a caso, lui replica con precisione maniacale i delitti descritti in celebri romanzi noir e polizieschi.
La stampa, astuta e spietata, ribattezza il killer “il romanziere”. L’assassino ingaggia un gioco perverso e intellettuale con le forze dell’ordine e, in particolare, con Camille, che stima e sfida in un duello mentale incessante. A coadiuvare Verhoeven c’è la sua squadra, un gruppo di personaggi sapientemente delineati: il fedele e abnegato vice Louis, l’astuto Maleval e l’ispettore Armand. Ognuno di loro, accuratamente descritto con vizi e virtù, contribuisce a rendere la narrazione dinamica e realistica.
La caccia all’uomo, vera protagonista del romanzo, prende presto una piega drammaticamente personale: il killer sembra conoscere ogni dettaglio della vita privata di Camille, arrivando a minacciare la persona a lui più cara, la sua amata Irène, incinta al nono mese del loro primo figlio. Questa minaccia incombente trasforma l’indagine in una corsa contro il tempo, spingendo il commissario al limite della sua resistenza fisica e mentale per fermare l’assassino, il cui piano è tragicamente sempre più agghiacciante. L’ultimo, devastante colpo di scena va oltre la trama, spiazzando completamente il lettore e lasciandolo con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di unico e impossibile da dimenticare.
Lo stile di Lemaitre è secco, incalzante e diretto, arricchito da dettagli crudi e violenti che creano un’atmosfera angosciante senza però mai allontanare il lettore. L’autore dosa con maestria la suspense, le trappole psicologiche e i colpi di scena, rendendo scorrevole una trama complessa e stratificata. Irène va ben oltre il concetto di thriller ad alta tensione; è un’esplorazione della fragilità umana di fronte all’orrore. La violenza del killer e la vulnerabilità dei personaggi, persino quella di un esperto investigatore come Camille, ci spingono a riflettere su quanto la felicità e la stabilità siano precarie, pronte a essere distrutte in un istante.
Il vero punto di forza di questo romanzo, ciò che davvero lo rende unico e inimitabile, è però la sua intertestualità. Irène è un omaggio alla letteratura noir, riproducendo delitti descritti in romanzi di autori come James Ellroy e Bret Easton Ellis. Lemaitre non si limita a citare, ma trasforma il romanzo stesso in un’arma narrativa, sfidando il lettore ad andare oltre la semplice fruizione di una storia. A un certo punto, la lettura diventa un’esperienza disorientante e, contestualmente, straordinaria, che costringe addirittura a tornare indietro con le pagine e a mettere in discussione ogni certezza.
Questo espediente narrativo genera uno stato di “piacevole confusione”, si rimane spiazzati e ammaliati da una sorpresa che sovverte e sconvolge, simile a quella che si prova guardando film come Inception o I soliti sospetti.
Con Irène, Pierre Lemaitre gioca con le certezze di ogni lettore, oltre che con quelle del suo personaggio. Spiazza, ferisce, ma, alla fine, arricchisce con una delle storie più particolari e affascinanti degli ultimi decenni. È un libro assolutamente consigliato a chiunque ami il genere thriller, ma soprattutto a chi cerca una lettura che lo impegni senza noia e lo sfidi senza remore.
Si corre, leggendo Irène, come in fuga da un nemico spietato; ma quando a quel nemico si arriva abbastanza vicino da guardarlo in faccia, si desidera tornare indietro per capire come sia stato possibile non riconoscerlo prima.


