Il pane del diavolo
Il romanzo si alterna tra il 1416 e i giorni nostri, nell’ambientazione valdostana di Fénis. Nella parte ambientata nel passato, troviamo una cuoca saracena di nome Marion, donna dal talento culinario straordinario. Sa leggere e scrivere, e le sue origini contribuiscono a farle arricchire i banchetti con inusuali aromi e spezie che portano all’estasi i commensali. Ma è pur sempre una donna del 1416, e agli occhi del maestro di cucina Chiquart non può che essere poco più di una sguattera, degna solo di umiliazioni e insulti. Nella parte ambientata nel presente, il maresciallo dei Carabinieri di Aosta Randisi deve indagare sul caso di Alice Rey, ritrovata sgozzata nel bosco. L’indiziato principale è il marito, lo chef stellato Piccot, collezionista maniacale di ricettari antichi. Ma un secondo omicidio cambierà le carte in tavola. La soluzione del mistero verrà trovata nel legame tra le due parti del romanzo, e sull’elemento che le collega.
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Recensione a cura di Gianluca Morozzi

Prima di tutto, un consiglio: non iniziate questo romanzo a stomaco vuoto. Altrimenti vi ritroverete dopo poche pagine a sognare quel meraviglioso banchetto tra brodetto di cappone, arrosto di selvaggina, salse varie, lampreda e lucci, e a salivare come i classici cani di Pavlov.

Perché non basta elencare una serie di piatti e di ingredienti per farti desiderare il cibo che viene raccontato sulla carta, come non basta descrivere un atto sessuale per scrivere un romanzo erotico: bisogna renderlo desiderabile, profumato e concreto, quel cibo, e l’autrice ci riesce benissimo.

Una delle cose più terrorizzanti per chi scrive romanzi ambientati – in tutto o in parte – nei secoli passati è il particolare sbagliato, l’errore nel quale è facilissimo cadere. Anacronismi, inesattezze, approssimazioni sono sempre dietro l’angolo. Ebbene: questo 1416 sembra frutto di una lunga e meticolosa ricerca, e l’impressione è che nessuno possa obiettare sulla sua assoluta verosimiglianza.

Come l’ambientazione della parte nel passato regge al vaglio dell’occhio critico, altrettanto affascinante è quella che fa da cornice alle vicende dei giorni nostri, quella Val d’Aosta che sembra diventata il nuovo Maine, la nuova Castle Rock, anche grazie alla popolarità di Rocco Schiavone. Ed essendo un territorio relativamente vergine rispetto ad ambientazioni già logorate da pagine e pagine di romanzi italiani, ci offre interessanti e affascinanti tradizioni che ci suonano esotiche, come le maschere carnevalesche dal suggestivo nome che troviamo in una parte importante della trama.

Le due parti si sposano alla perfezione, anche a livello stilistico: più formalmente elegante lo stile della sezione 1416, più classico quello contemporaneo. E si specchiano l’una nell’altra, con un elemento ben preciso che le unisce a distanza di sei secoli, due donne forti e indimenticabili a fare da perno a cupe vicende, come se fossero la reincarnazione l’una dell’altra, e lo chef stellato Piccot a incarnare il fantasma del maestro Chiquart.

Siccome l’autrice si è documentata con cura per creare il suo affresco noir-culinario, ecco un elenco dei testi che ha preso come riferimento.

CoeliusApicius, L’arte culinaria: manuale di gastronomia classica, a cura di G. Carazzali, Bompiani, Milano 2003

Anonimo, Le mesnagier de Paris, a cura di G.E. Brereton e J.M. Ferrier; traduzione e note di K. Ueltschi, Librairie generale francaise, Parigi 1994

Guillametirel, Le viandier de GuillameTirelditTaillevent, Primary Source Edition, Techener, Paris, 1892

MaistreChiquart, Dufait de cuisine, a cura di T. Scully, Bibliotheque et Archives CantonalesduValais, Sion 1985

Maestro Martino, Libro de arte coquinaria, a cura di L. Ballerini e J. Parzen, G. Tommasi, Milano 2001

IbnSayyar Al-Warraq, Il simposio dei sultani: dal più antico trattato di cucina arabo-musulmano, a cura di S. Favaro, Jouvence, Milano 2015

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