“Danzate su di me” di Massimo Carlotto, SEM ed. è un libro formato da quattro storie di donne. Leggere questo libro è stato come ascoltare un blues in penombra. Quella luce soffusa era l’unica che potesse illuminare queste storie senza tradirne l’essenza. Carlotto scrive: “Da oltre vent’anni sono convinto che un autore debba esplorare l’universo femminile“. E in queste quattro storie, da par suo, lo fa.
Quattro donne, quattro esistenze ai margini. Diverse tra loro come le città che le ospitano, eppure unite dallo stesso sguardo disincantato dell’autore sui vizi del nostro tempo. Quello che mi ha colpito profondamente è come l’infelicità qui non sia melodramma, ma una prigione quotidiana. Una vita non voluta, sopportata a fatica, dove la menzogna – agli altri, a se stesse – diventa l’unico modo per sopravvivere. Ma Carlotto, ed è questo il suo tratto distintivo, non condanna: mostra come persino quel mentire possa essere un atto di resistenza.
Mi sono ritrovata a pensare a lungo alle protagoniste dopo aver chiuso il libro. Donne intrappolate nei ruoli che la società patriarcale ha cucito loro addosso: la moglie, l’amante, la madre, la femme fatale. Gabbie dorate che diventano prigioni. La cassiera con il suo amore proibito, la madre torinese che scarica sulla figlia la sua frustrazione, Gaia che si aggrappa alle apparenze di un matrimonio fallito, Lise che arriva a pagare un ladro pur di avere controllo sulla propria fine.
Quello che mi ha commosso è che nessuna di loro si arrende completamente. Sono sconfitte, certo, ma non vinte. Nella cassiera che trasforma il lutto in un dolore muto, in Lise che sceglie almeno come morire, ho visto una dignità feroce. Il loro rancore, la loro ribellione – per quanto distorti – sono stati per me come piccoli fuochi nel buio.
Carlotto lega magistralmente queste storie personali al declino di un’Italia che riconosco: periferie che sfioriscono, crisi economiche, promesse borghesi infrante. La precarietà qui non è solo nei conti in banca, ma nell’anima. Gli amori sono trappole, le relazioni campi di battaglia. E quelle che sembrano vie di fuga – doppie vite, scommesse finanziarie – si rivelano solo altre prigioni.
Ciò che mi resta più impresso è l’assenza di qualsiasi lieto fine. Anche le protagoniste danzano, come dice il titolo, ma è una danza funebre sulle tombe delle loro illusioni. Eppure, proprio in questa danza disperata ho visto tutta la loro umanità. Un’umanità cruda, sgradevole a volte, ma profondamente vera.
Non è un libro che consolerà. Non offre speranze facili. Ma è un libro necessario, che costringe a guardare in faccia realtà che spesso preferiamo ignorare. E forse, proprio in questo coraggio di mostrare le cose come sono, senza abbellimenti, sta il suo merito.

