Il secondo romanzo della giovane scrittrice romana è balzato alle cronache per due motivazioni: essere stato inserito tra i dodici libri finalisti al premio Strega 2024 e, per questo stesso motivo, essere stato criticato con ferocia inaudita (minacce di morte all’Autrice via social) circa la veridicità dei fatti storici (o forse il punto di vista da cui tali fatti sono stati narrati).
Spendo due parole (inutili e addirittura offensive nei confronti di chi legge, ne sono cosciente e chiedo perdono anticipatamente) sulla questione “veridicità storica dei fatti narrati”: si tratta di un romanzo, non è un saggio, e questo dovrebbe bastare. La Politica (in maiuscolo così da includere tutti gli schieramenti, nessuno escluso) in Italia ha un potere dialettico pari a quello di trasmissioni sportive e in Italia, si sa, sono tutti allenatori. Fossero esistiti i social al tempo dell’uscita di Lolita…
Nel romanzo, ciò che accomuna i personaggi è l’essere vittima; sono vittime infatti i ragazzi rimasti vittime nella strage di Acca Larentia ad oggi ancora senza colpevoli accertati: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta (così come suo padre morto suicida per la disperazione) e successivamente agli scontri con le forze dell’ordine Stefano Recchioni.
Lo sono i cinque ragazzi fermati a seguito della confessione della supposta pentita (quattordicenne all’epoca dei fatti) Livia Todini, militanti di Lotta Continua e accusati del doppio omicidio: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce, scappata all’arresto perché fuggita in Nicaragua. Tutti assolti in primo grado per insufficienza di prove. Tutti eccetto uno.
Mario Scrocca, uno dei protagonisti di questo libro, muore in circostanze sospette in cella: per circostanze sospette si intende il suicidio a 27 anni in una cella anti-suicidio del carcere di Regina Coeli.
Lo sono ancora vittime la moglie Rossella e il figlio di Mario che hanno perso un marito e un padre per nessun motivo.
Lo è la narratrice del romanzo che racconta i suoi trascorsi e le violenze subite.
Ci sono motivi a sufficienza (e per tutti) per provare rabbia in una vicenda che vede Golia avere la meglio su Davide senza il minimo sforzo; eppure, lo stile narrativo dell’Autrice trasforma una rabbia genuina e pura (emozione che se non adeguatamente gestita può diventare distruttiva) in qualcosa di diverso, qualcosa che nonostante non perda forza, appare nella sua veste migliore, quella in cui presta il fianco alla riflessione e all’empatia.
Il romanzo racconta la forza di una donna nel perdere tutto e della sua capacità di non chinare il capo, non smettere mai di lottare, di trovare le vie e gli strumenti giusti per far si che alla morte dell’uomo (un padre e un marito) non segua l’oblio per la sua storia, per le vicende oscure che lo hanno inghiottito e privato ingiustamente della vita, senza che nessuno (tra i responsabili) abbia pagato per questo.
Senza alcuna dietrologia, morire suicida in una cella anti-suicidio, in un paese civile, non dovrebbe essere un crimine senza responsabilità, anche perché, volendo attenersi ai fatti, per impiccarsi Mario avrebbe utilizzato lacci delle scarpe che sarebbero stati confiscati, assieme alla cintura, al momento della carcerazione.
Il romanzo descrive il dramma di una donna nel dover raccontare al figlio di due anni della scomparsa del padre, della disperazione nel dover dire mezze verità, bugie bianche, arrivare anche alla vera menzogna pur di tutelare un bambino che diventa adolescente e che poi da adulto ti presenta il conto.
Il romanzo offre la possibilità, a chi la vicenda susciti particolare interesse, di documentarsi approfondendo i fatti, attraverso la lettura di diversi saggi storici sull’accaduto; allo stesso tempo, il lettore di romanzi, avrà modo di appassionarsi alla storia di due donne, alla loro caduta e alla loro rinascita.


