Come lampi nel buio. Una psichiatra sensitiva indaga
«Ho una cicatrice sul braccio destro e una sul collo. Con il tempo si sono attenuate ma, anche se sparissero, le sentirei bruciare comunque.» La piccola Federica è stata strappata dal giardino in cui giocava. Era il 1991 e, ancora oggi, di lei non c’è traccia. Se per la Questura di Milano è un cold case, per la psichiatra e detective Emma Bardi è una visione pulsante, uno dei tanti lampi che irrompono nelle sue giornate, come squarci nel cielo, fin da quando era ragazzina. Volti e voci di donne, scomparse o assassinate, chiedono ancora giustizia. Sono fiori freddi, recisi troppo presto e adesso conservati in un archivio di cui la protagonista è la sola custode. Ricorrendo alle proprie capacità extrasensoriali, affiancando il vicequestore Tea Romagnosi, Emma è alla ricerca della bambina rapita trent’anni prima. Per scoprire la sorte di questo fiore, dovrà indagare nel proprio dolore e scavare in un passato torbido, dal quale è sempre fuggita.
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Essendomi in gioventù formato, come lettore del genere poliziesco, sui grandi autori dell’epoca d’oro, quelli di Agatha Christie, Dickson Carr, Ellery Queen ecc ecc, mi è rimasta nel DNA la predilezione per il filone, intramontabile, del giallo a enigma, anche se non è facilissimo trovare storie ricalcate su questo schema all’altezza degli esempi storici. Quando mi imbatto in una, riprovo il godimento delle antiche letture, un appagato senso di meraviglia  per l’ingegnoso meccanismo della trama e la sua risoluzione sorprendente. “Come lampi nel buio” mi ha dato questa emozione, molto più bella, come sanno i veri cultori del giallo classico, della soddisfazione superficiale di “riuscire a scoprire l’assassino” prima del detective di turno.

Protagonista del romanzo di Monica Testi è una psichiatra forense che partecipa a indagini e processi penali portandovi non solo la competenza specialistica ma anche il dono, che è anche un pesante fardello, della “luccicanza”. Emma Bardi, questo il suo nome, è, infatti, una veggente visitata da visioni che le indicano la strada per risolvere i casi in cui è implicata, in prevalenza misteriose sparizioni di persone che contribuisce a ritrovare, vive o, purtroppo, anche morte. Questo implica un difficile rapporto con sé stessa e la propria interiorità che ne fa una paziente in pianta stabile di una collega con la sua stessa specializzazione, in un emblematico ribaltamento di ruolo rispetto alla sua attività professionale. Com’è inevitabile, la Bardi è in cerca di  equilibrio nei rapporti affettivi e sentimentali, che affronta con una precarietà che le viene dal lutto mai elaborato per la perdita tragica di entrambi i genitori.

Nella vicenda narrata Emma deve occuparsi, tra illuminazioni improvvise che la scuotono e un’irrequietudine che fatica a dominare e la spinge a prendere iniziative  investigative non autorizzate, di due casi molto penosi: quella di una bimba scomparsa da decenni senza che se ne sia saputo più nulla, e quella di un padre che ha (forse) ucciso il figlio delinquente.

Tutto si muove verso lo scioglimento inatteso sullo sfondo di una Milano guardata e descritta con occhio così amorevole che ne riscatta l’aspetto di “giungla” ( come nel titolo della collana dell’editore Mursia che ospita il libro) affannata e caotica che pure ha.

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