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Palato da Detective

#21 – GLI ARANCINI DI MONTALBANO
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È noto: parecchi tra gli investigatori letterari sono degli inguaribili epicurei.
Vien da pensare che sublimino con la buona tavola quel loro starsene in mezzo a crimini, furti e delinquenza in genere. E forse è proprio così. Prendiamo ad esempio Nero Wolfe, così raffinato da competere con il suo cuoco in una gara di ricette all’ultima forchetta. E che dire della moglie del commissario Kostas Charìtos, creato dalla penna di Petros Markaris? I Gemistà della signora Adriana pare siano un’apoteosi! Per non parlare di Manuel Vázquez Montalbán e delle sue Ricette Immorali o ancora dei manicaretti della signora Maigret che profumano di Alsazia e di spezie della campagna francese.
Insomma la lista è lunga e pian piano vedremo di darle un’occhiata insieme. Seguitemi, che oggi andiamo nella meravigliosa terra di Sicilia!

Il commissario Montalbano, nella sua Vigata, pranza spesso in trattoria da Enzo: chi di noi non vorrebbe trovarsi a gustare un piatto di pesce su quella meravigliosa terrazza, bianca e azzurra, praticamente in spiaggia? Un sogno! Però ci toccherebbe farlo in silenzio, perché il commissario non ama parlare mentre mangia. Una bottiglia di bianco fresco e i consigli di Enzo sono tutto ciò che serve. E poi? Poi, dopo pranzo, la passiata fino al molo, per digerire in pace pensando alle indagini, sempre che Fazio o il suo vice Mimì Augello non arrivino a disturbare con l’ammazzatina di turno, qualche cadavere frisco frisco ritrovato in contrada chissadove.

#21 - GLI ARANCINI DI MONTALBANO

La penna ironica e sublime del maestro Camilleri ci ha sempre confezionato storie poliziesche prelibate, genuine quasi quanto la passione per il cibo del suo commissario. La cammarera Adelina gli lascia spesso qualche pietanza appetitosa in frigorifero e lui se la gusta sulla verandina, in agognata, edonistica solitudine. Ammesso che non suoni il telefono e che la voce di Catarella non lo smuova dai piaceri della tavola o quella di Livia, amata fidanzata genovese, non lo distolga mentre si appresta a cenare.

Il maestro ci parla dunque spesso di cibo, dato l’amore che Salvo Montalbano nutre per la buona tavola; però una sola volta, a mia memoria, ci ha lasciato una ricetta con tanto di ingredienti e procedura per cucinarla: nella raccolta di racconti “Gli arancini di Montalbano”.
In giro per la terra di Sicilia sappiamo che è difficile trovare arancini (o arancine) uguali. Infatti di paese in paese, di città in città, le forme, gli ingredienti, la preparazione… perfino il nome, variano. La ricetta trascritta da Camilleri pare si rifaccia a quella di sua nonna Elvira, tradizione familiare! In casa Camilleri gli arancini si facevano con quello che si aveva in dispensa.

Sembra che la nonna dosasse tutto a occhio, così ogni volta diceva: Comu vinniru stavota?
Ho letto in una intervista questo aneddoto: In una occasione la nonna cucinò degli arancini davvero sublimi, il nipotino Andrea Camilleri glie lo volle dire, ma non fece in tempo perché, pare, un calcione sferratogli dallo zio sotto il tavolo lo bloccò. “Zitto! Deve sempre superare sé stessa, se glie lo dici è finita!”

Nella raccolta di racconti “Gli arancini di Montalbano”, il commissario litiga con Livia che lo vuole portare a Parigi per Capodanno. Lui sa che Adelina cucinerà gli arancini e soffre all’idea di dover assecondare la fidanzata. Il figlio della cammarera, Pasquale, è di nuovo finito in carcere per un furto che però, stavolta, pare non abbia commesso. Il commissario si adopererà per farlo uscire di galera in modo da poter presenziare alla cena con la madre. E lui che farà? Andrà con Livia a Parigi oppure… vi tocca rileggerlo se non ricordate il finale!

Ed eccovi la ricetta, direttamente dalla penna del maestro.

Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta.

Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.

Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!) Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla.

Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano.

Dato che la nonna Elvira (così come Adelina) facevano tutto a occhio, Camilleri non trascrive gli ingredienti uno ad uno con i quantitativi. Li ho recuperati io, poiché ritengo possano essere utili a chi non ha dimestichezza con la cucina siciliana:

Arancini di riso di Adelina (o arancine)
Ingredienti

150 gr di carne di manzo grassa e magra in un pezzo unico

150 gr di carne di maiale grassa e magra in un pezzo unico

1 cipolla piccola

1 gambo di sedano

prezzemolo q.b.

basilico q.b.

1 bicchiere di passata di pomodoro

1 cucchiaio colmo di concentrato di pomodoro

olio d’oliva extra vergine q.b.

sale e pepe q.b.

1/2 kg di riso

olio e burro q.b.

brodo di carne q.b.

2 uova

150 gr di piselli sgusciati

80 gr di salame piccante tagliato in un pezzo unico

besciamella q.b.

albumi d’uovo q.b.

pan grattato q.b.

olio di arachidi per friggere q.b.

Buon appetito!

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