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L'angolo giallo

NASCITA DI UN GENERE IL GIALLO, CHE VIDE LA LUCE IN UNA SERA BUIA
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Questa storia ha solo due personaggi, si svolge in alcune ore, in due città a migliaia di chilometri di distanza, in un freddo giorno di marzo del 1841.

Il primo personaggio che incontriamo è un uomo di 32 anni, che ne dimostra di più, perché ha alle spalle un’esistenza segnata dal dolore, l’abbandono, la delusione, la rabbia ma soprattutto una fantasia geniale. Orfano precoce, è stato adottato da un patrigno ricco ma dal carattere rigido, nella sua adolescenza e giovinezza ha sofferto carenze affettive, manifestato un’indole ribelle, si è trovato alle prese con croniche difficoltà finanziarie ed è caduto nella dipendenza dall’alcol. Una personalità eccitabile e volubile, incline, e forse non potrebbe essere altrimenti, alla depressione. Quest’uomo non trova un’occupazione stabile e a sera torna a casa stremato e deluso dalla precarietà della sua vita. Anche stasera, nella città in cui vive: Filadelfia, negli Stati Uniti. Entra in casa, vorrebbe bere e dormire, il solito sonno inquieto popolato da incubi, ma non può, perché sente l’irresistibile impulso di sedere a una tavolo, afferrare una penna e cominciare a riempire dei fogli, uno dopo l’altro, con la sua grafia sottile e ordina, priva degli svolazzi tipici dell’epoca. Fermiamoci qui, lasciamo quest’uomo a scrivere, alla luce di una lampada a petrolio, e andiamo a incontrare il secondo personaggio della storia.

Lui vive a Parigi, in Francia, che non è ancora la città delle luci, la Ville Lumiere, riorganizzata dalla rivoluzione urbanistica del decennio seguente che aprirà i grandi boulevards, ma una metropoli con quartieri degradati, popolati da un’umanità dolente e priva di possibilità di riscatto. In quartieri così, si trova la via dove stanotte, nel marzo del 1841, è stato commesso un duplice, orribile omicidio. Madre e figlia abitano al quarto piano di un vecchio palazzo di una strada dal nome singolare e inquietante: rue Morgue, cioè via dell’obitorio. La madre è stata sgozzata, quasi decapitata, e il suo cadavere scaraventato dalla finestra dell’appartamento nel cortile interno, mentre la figlia, dopo essere stata strangolata, è stata addirittura spinta a forza lungo la cappa del camino! Agli occhi inorriditi degli investigatori, l’enigma è senza soluzione, perché l’appartamento al quarto piano della rue Morgue ha porta e finestre chiuse dall’interno. E si deve escludere che l’assassino sia fuggito attraversando i muri come uno spettro. Poi il prefetto di Parigi riceve la richiesta di un gentiluomo curioso e un po’ stravagante di recarsi sul luogo dei delitti. Permesso accordato. Una decisione saggia. Perché il gentiluomo, Auguste Dupin, esamina gli ambienti, rileva dettagli ignorati dagli altri detective, li interpreta alla luce della logica e risolve il mistero con una spiegazione razionale quanto sorprendente.

Auguste Dupin è l’altro personaggio della nostra storia. Un detective sui generis, dunque, ma pur sempre un detective, anzi il primo detective, il capostipite della categoria. Di una realtà diversa dalla nostra, però, quella della narrativa letteraria. Già, perché Auguste Dupin non esiste, o meglio nasce, indaga e si muove su quei fogli di carta scritti febbrilmente nelle stesse ore, a Filadelfia, da un uomo tormentato e geniale di nome Edgar Alla Poe.

Auguste Dupin e Edgar Allan Poe, personaggio e suo creatore, sono i protagonisti della storia che abbiamo raccontato, e cioè la nascita della narrativa chiamata dapprima poliziesca e in seguito (ma solo in Italia) giallo, levatrice il racconto dal titolo “I delitti della rue Morgue”. Un evento accaduto una notte di marzo, fredda e ventosa, ci piace immaginare, in una casa tetra e solitaria, alla luce di una lampada a petrolio. Dove il riverbero sulle pareti buie disegna ombre inquietanti che alimentano la fantasia sfrenata, delirante, violenta, di un uomo traumatizzato dal proprio passato quanto dal presente e dalla dipendenza dall’alcol.

 

Se è vero che Dupin è stato ed è tuttora ammirato, letto e apprezzato dagli appassionati di gialli, è altrettanto vero che qualcuno non abbia condiviso i suoi metodi, come accade anche ai capostipiti di un genere letterario. Qualcuno che vive in un’altra città, diversa da Parigi e Filadelfia. A Londra. Qui, infatti, nel 1888, avviene il dialogo fra un medico militare, appena rimpatriato dall’Afghanistan, e il suo coinquilino. Il dottore ha una conoscenza superficiale del suo interlocutore, si limitano a convivere per dividere le spese del loro comodo appartamento. Ma una mattina scoprono di avere un interesse in comune: la criminologia.

 

“- Spiegata così, la cosa sembra abbastanza semplice – ammisi sorridendo. – Mi ricorda il Dupin di Edgar Allan Poe. Non credevo che simili persone esistessero nella vita reale.

– Senza dubbio, lei crede di farmi un complimento paragonandomi a Dupin – osservò. – Ora, secondo la mia opinione, Dupin era un mediocre. Quel suo trucco di intervenire nei pensieri del suo amico, dopo un quarto d’ora di silenzio, è pretenzioso e superficiale. Senza dubbio, Dupin aveva una certa capacità analitica, ma non era quel fenomeno che Poe sembrava considerarlo.”

 

Una smargiassata? Le parole di un presuntuoso gradasso? Al contrario, l’opinione dell’unico uomo al mondo che possa superare in abilità un detective come Auguste Dupin. Si chiama Sherlock Holmes, e il medico militare che assiste sconcertato al suo monologo sull’arte dell’investigazione è il dottor Watson, il quale ignora che lo attende una brillante carriera di cronista delle avvincenti indagini del suo inquilino. Cronista per conto terzi, perché anche Holmes e Watson sono personaggi letterari, creati dal medico (stavolta sul serio) scozzese Arthur Conan Doyle. E il dialogo è un brano del romanzo d’esordio della coppia Holmes-Watson: Uno studio in rosso.

Già, se è vero che invidie, gelosie, rivalità, idiosincrasie non sono rare fra autori, lo è altrettanto che simili ripicche avvengano fra personaggi di fantasia. Anche e soprattutto se sono geniali investigatori. Perché le loro debolezze sono umanissime, se vogliamo, e in definitiva rappresentano la prova concreta che l’affezione dei lettori nasce proprio lì, in una sorta di identificazione, oltre che nell’ammirazione del genio investigativo.

 

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