Nata a New York il 25 aprile 1891, Helen apparteneva a una famiglia benestante ricca di personalità prestigiose: il padre, il dottor James Kieran, era presidente di un rinomato college per ragazze della città, e uno dei fratelli, John Kieran, divenne un apprezzato studioso naturalista. Cresciuta a New York, Helen sposò il fumettista Paul Reilly e dopo le nozze si trasferì a Westport nel Connecticut, dove rimase con la famiglia fino alla morte del marito, avvenuta nel 1944. Nello stesso anno tornò a vivere a New York, dove morì l’11 gennaio 1962. Dal matrimonio la scrittrice ebbe quattro figlie, due delle quali – Ursula Curtiss e Mary McMullen – sono divenute a loro volta note autrici di romanzi polizieschi.
Helen Reilly cominciò a scrivere mystery su suggerimento di un amico di famiglia, lo scrittore William McFee, e proprio in onore del suo mentore lei battezzò il protagonista dei suoi gialli Christopher McKee, ispettore di polizia di origini scozzesi della Squadra Omicidi di Manhattan, al debutto nel romanzo The Diamond Feather (1930), ricomparso l’anno dopo in Murder in the Mews e consacrato al definitivo successo dal terzo romanzo, McKee of Centre Street (1933). Occhi marroni, viso scavato, McKee è un personaggio piuttosto anonimo nel fisico e negli atteggiamenti: ha modi sobri ma mai bruschi, sui cui l’autrice non indulge mai con specifiche accentuazioni, presentandolo come un uomo onesto, meticoloso (al pari del suo assistente Todhunter) e totalmente dedito al suo lavoro, a causa del quale in un’occasione riesce persino a dimenticarsi della ricorrenza del Natale…
Molti romanzi della Reilly risultano disponibili in italiano, soprattutto nelle collezioni Il Giallo Mondadori [GM] e i Classici del Giallo Mondadori [CGM], e riediti anche dopo il 2000, nel clima nostrano di rivalutazione dei gialli della golden age angloamericana degli anni ’20 e ’30, cui ha contribuito anche la benemerita collana “I Bassotti” dell’editore Polillo, e che sottoponiamo all’attenzione del lettore interessato:
– Dead Man Control, 1936 (Il segreto del milionario, GM n. 250, 1941; I Capolavori dei GM n. 126, 1959; CGM n. 1381, 2016);
– All Concerned Notified, 1939 (Nido di vipere, “Il romanzo giallo”, Editoriale Corno, n. 36, 1984);
– Murder in Shinbone Alley, 1940 (Non era una colomba, GM n. 1480, 1977; CGM n. 1317, 2013)
– Three Women in Black, 1941 (Tre donne in abito da sera, I Bassotti n. 44, 2007);
– The Opening Door, 1944 (La porta socchiusa, I Bassotti n. 82, 2010);
– Murder at Arroways, 1952 (Opere di male, GM n. 335, 1955; CGM n. 904, 2001);
– The Double Man, 1953 (La maschera dell’odio, GM n. 290, 1954);
– The Velvet Hand, 1953(La mano di velluto, GM n. 311, 1955; GM n. 1345, 2014);
– Lament for the Bride, 1954 (Pietà per la sposa, GM n. 195, 1952; CGM n. 1067, 2005);
– Not Me, Inspector, 1959 (Io no, ispettore, Serie Gialla Garzanti n. 184, 1960);
– The Day She Died, 1962 (Il giorno in cui Veronica morì, Serie Gialla Garzanti n. 249, 1963);
– Morte-Express, GM n. 461, 1957; CGM n. 978, 2003.
Si sottraggono all’elenco, purtroppo, vari altri gialli della Reilly mai tradotti in italiano, compresi i tre iniziali della serie con l’ispettore McKee che abbiamo citato. Segnaliamo dunque – dopo The Diamond Feather, Murder in the Mews e McKee of Centre Street – The Line Up (1934), Dead for a Ducat (1939), Death Demands an Audience (1940), Mourned on Sunday (1941), Name Your Poison (1942), The Dead Can Tell (1943), Murder on Angler’s Island (1945), The Silver Leopard (1946), The Farm-House (1947), Staircase Four (1950), Tell Her It’s Murder (1954), The Canvas Dagger (1956), Ding Dong Bell (1958), Follow Me (1960) e Certain Sleep (postumo di pochi mesi, 1962).
Una delle poche gialliste senza debiti con il Whodunit o con la scuola contemporanea dello “Had I but known” (“Se solo avessi saputo…”) avviata da Mary Roberts Rinehart, la Reilly ha dato a modo suo un contributo singolare alla narrativa gialla. Infatti, “lontana dall’enfasi retorica, dallo sdolcinato patetismo, dagli stucchevoli languori emotivi di penne come la Green, la Eberhart, la Rinehart [su cui rinviamo ai nostri Maestri del Giallo, rispettivamente 08/04/2019, 29/05/2020 e 22/04/2020], la Reilly ricorda piuttosto la disposizione imparziale della Sayers o della Marsh, anche se la Reilly è molto meno intellettualistica della prima e meno pittoresca e teatrale della seconda” [su Dorothy Sayers e Ngaio Marsh, ancora i nostri Maestri del Giallo, 29/10/2019 e 19/01/2022].
Così il duo Di Vanni-Fossati (Guida al “Giallo”, Milano 1980), che però più severamente prosegue: “Anche se precisa e scrupolosa nello schematismo di fondo e mai arrogante nelle sporadiche incursioni nel campo degli scandagli psicologici, la Reilly rivela il più delle volte una sostanziale anemicità nello sviluppare gli intrecci, e i romanzi, dopo un avvio regolarmente stimolante, tendono generalmente a scadere una volta avvenuto il crimine, anche perché la qualità letteraria della pagina non raggiunge vertici particolarmente esaltanti. Anche la verifica della soluzione è affidata a una tecnica abbastanza approssimativa, sebbene il livello medio dei suoi mysteries si mantenga sempre decoroso.”
In effetti, i gialli della Reilly presentano caratteristiche miste piuttosto costanti: in molti l’aspetto femminile-romantico, con la classica eroina in pericolo, ha una parte fondamentale nella storia; in altri invece è la forma procedurale, con il lavoro dell’ispettore e dei suoi uomini, a esser messa in primo piano. Altri critici, al contrario, hanno rilevato con maggior generosità i punti di forza della narrativa della Reilly, come Howard Haycraft, che nel suo saggio Murder for Pleasure del 1941 – prima vera analisi storico-critica del romanzo poliziesco – elogia l’attenzione con cui la scrittrice tratta i metodi di procedura della polizia, senza cioè il minimo velleitarismo cronachistico, anticipando in questo l’impostazione di un’altra giallista, americana come lei, Elizabeth Linington.