Questa nuova rubrica guarderà al mondo della autopubblicazione nel campo dei libri. Non verrà previlegiato un genere piuttosto che un altro ma ovviamente si avrà un occhio di riguardo per il giallo, il noir e tutte le loro sfumature. Sarà per forza di cose una visione molto parziale del mondo variegatissimo degli autori che si auto pubblicano. Io sono un grande estimatore e fruitore di romanzi self publishing ed in base alla mia esperienza (ed ahimé ai miei gusti) presenterò quelli che in un dato momento e per un particolare motivo meritano di essere analizzati. E’ una visione parziale certo ma è un modo a mio parere più che valido per far conoscere ai lettori anche questo genere di autori che cercano di emergere senza avvalersi dell’appoggio di una casa editrice. Tra di loro si “annidano” davvero ottimi scrittori, che meritano di essere conosciuti e promossi. Nella prima parte della rubrica darò tre ottimi motivi per leggere il romanzo preso in esame, argomentandoli brevemente. Nella seconda ci sarà una rapida intervista all’autore che parlerà del suo ultimo romanzo pubblicato e della sua produzione in generale.
Per questo nuovo appuntamento di Spazio self publishing ho il piacere di dare spazio a un autore che nel corso degli anni si è contraddistinto in diverse opere di genere giallo, noir e thriller.
Giallo e cucina ospita l’autore piemontese Antonio Falco, nato a Torino nel 1973 dove vive e lavora come tecnico della ricerca, presso l’Università agli studi. Il suo esordio avviene nel 2017 con il romanzo Il cane che avrebbe dovuto chiamarsi Fido, nel 2018 la sua seconda opera la stella a sei punte, nel 2020 Ultime volontà di Arturo Musini e nel 2021 Una vita di troppo tutti editi da Il Ciliegio editore. Sempre nel 2021 ha pubblicato Il padre imperfetto per la Oakmond Publishing. Nel 2023 esce il suo primo romanzo autopubblicato dal titolo Delitti senza fissa dimora dove troveremo i personaggi della squadra T già presenti nella stella a sei punte e Una vita di troppo.
Sarà proprio di Delitti senza fissa dimora il testo sul quale ci focalizzeremo in questa rubrica.
Tre motivi per leggerlo
Delitti senza fissa dimora è un romanzo che appartiene al genere poliziesco o meglio a police procedural, in letteratura nacque agli inizi degli anni 40 e che in seguito troverà il suo sviluppo sia nel cinema ma ancor di più nelle serie televisive. Gli amanti di questo sottogenere del giallo approcceranno con grande facilità nella lettura di questo romanzo che gode del miglior intreccio narrativo.
Antonio Falco è riuscito a creare un fil rouge che unisce due storie apparentemente slegate tra di loro, un serial killer che compie dei delitti efferati e la misteriosa scomparsa di un noto imprenditore della zona. Una peculiarità fondamentale nel meccanismo dello sviluppo della trama che avrà un effetto catalizzatore (per usare un’espressione inerente alla chimica) sul lettore.
Infine l’autore ha reso credibili i poliziotti che compongono la squadra T destinati non solo a diventare degli antieroi al servizio della legge, ma soprattutto delle persone comuni che devono affrontare quotidianamente storie di crimini e di violenza. Una realtà a volte dura e amara che tende a sovrastarli e ci vuole per davvero lo spirito di gruppo, ed è proprio questa coesione tra di loro a renderli autentici.
Intervista ad Antonio Falco
Diamo con grande piacere il benvenuto su Giallo e cucina ad Antonio Falco e partiamo subito con la prima domanda:
dopo la stella a sei punte e una vita di troppo ritroviamo la squadra T in questo terzo episodio dal titolo Delitti senza fissa dimora come nasce l’idea di questi personaggi appartenenti alla Questura di Torino?
Ricordo perfettamente il luogo in cui mi è venuta in mente l’idea della Squadra T, di questo gruppo di poliziotti “trasversali”, in grado di occuparsi di più o meno tutti i tipi di crimine senza necessariamente essere dei supereroi, ma persone piuttosto comuni. Stavo correndo in un parco e ancora oggi, quando passo da quelle parti, penso a quel momento esatto.
Ricordo anche che mi è nata per prima Giulia Rinaldi, la “recluta” con tutto il suo carico di ansie per il nuovo lavoro e di problemi personali, che era un po’ più protagonista degli altri nel primo romanzo (La stella a sei punte), ma non so spiegare il perché e il come sia nata l’idea… è venuta un po’ fuori da sola, come mi capita quasi sempre.
So solo che in quel periodo avevo accantonato l’idea perché in quel momento ero ancora alla ricerca di un contratto per il primo romanzo e quindi ero anche un po’ demoralizzato dalle difficoltà che stavo incontrando. Nel momento in cui Il Ciliegio mi ha contattato per il primo libro, ho cominciato a sviluppare l’idea per il secondo e a scrivere. E i sei personaggi della Squadra si sono costruiti un po’ da soli, dando vita a una squadra dove, come ho detto prima, non spicca nessuno per capacità particolari, ma quello che conta è appunto il lavoro di squadra e l’affiatamento.
Quando si parla di un team investigativo dal punto di vista letterario si pensa in ai bastardi di Pizzofalcone del partenopeo Maurizio de Giovanni o l’87 distretto dello statunitense Ed Mc Bain, sei stato anche ispirato da loro nella scelta dei personaggi della squadra T?
Devo essere sincero, ai tempi non avevo letto romanzi né di de Giovanni né di Mc Bain, quindi la risposta è no.
Come ho scritto prima è venuto fuori un po’ tutto per caso.
Probabilmente quello che mi ha spinto verso il genere procedural è stata più che altro la voglia di cambiare. Nel primo romanzo ho avuto a che fare con un impertinente pensionato, che si improvvisa detective e probabilmente in quello nuovo desideravo lavorare con dei personaggi più strutturati e meglio inseriti in una vera routine poliziesca e in grado di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione degli investigatori ufficiali.
E poi forse ha pesato anche il desiderio di scrivere una storia con più personaggi, con caratteri e caratteristiche differenti, che sicuramente arricchisce la narrazione e permette all’autore di tirare più fili e aver più sfaccettature su cui lavorare.
Senza voler fare arditi paragoni, un libro a cui ho pensato quando ho scritto alcuni particolari legati all’assassino seriale è Non uccido di Falletti.
In questo terzo episodio vediamo due vicende completamente slegate tra di loro, un serial killer di barboni uccisi secondo un rituale e un imprenditore quasi in fallimento che minaccia un noto politico cercando di voler estorcergli denaro. Due storie particolarmente sporche, crude e nere, dove al centro dell’attenzione c’è il vile denaro che decide le sorti dei protagonisti e sullo sfondo ci sono le prostitute, vittime sacrificali a volte di un gioco al massacro. Come nasce questa storia?
Mi ripeto rispondendo che gran parte delle mie storie nascono per caso: magari una notizia letta su un giornale o uno spunto ascoltato in tutt’altro contesto stimolano la mia fantasia e, se la notizia o lo spunto sono quelli giusti, continuano a rimanere in testa per un po’, ma solo quando mi metto davanti allo schermo del computer, se l’idea è valida, la trama del romanzo viene fuori un po’ per conto suo.
In questo libro, come hai detto tu, Dario, ci sono due storie che si intrecciano e questo è un “espediente” che avevo già usato in una vita di troppo e che in qualche modo mi piace, sia quando scrivo, sia quando, come lettore, mi trovo a leggere storie architettate in maniera simile.
Per quello che riguarda il serial killer, avevo voglia di cimentarmi con una storia del genere e sono stato influenzato più che dalle mie letture da una serie TV, a mio parere molto ben fatta, intitolata MindHunter. In questa serie viene raccontata la nascita dei famosi profiler dell’FBI negli USA e in qualche modo mi ha fatto venire voglia di affrontare quel genere di assassino o assassina con cui non mi ero ancora cimentato.
La storia legata alla prostituzione è nata in maniera – ripeto – casuale. Spesso passo nella zona in cui ho ambientato il campo di passeggiatrici con la mia bici da corsa e, ahimè, vi sono dei punti sulla provinciale in cui ci sono queste povere ragazze africane. E da lì la fantasia ha preso il sopravvento.
Inoltre i tuoi testi sono ambientati in un’affascinante quanto enigmatica Torino, quanto è cambiato il capoluogo piemontese?
Non voglio sostituirmi a persone più esperte di me nel vivere e valutare la città, ma Torino è sempre stata una città affascinante, il problema è che la stessa Torino non lo sapeva o, almeno, i suoi cittadini non se ne rendevano conto pienamente, un po’ a causa della sua vocazione industriale, in parte per il “basso profilo” tipico del torinese.
Direi con buona certezza che la svolta è stata rappresentata dalle Olimpiadi Invernali del 2006: sono state organizzate perfettamente e ripensare all’atmosfera che si viveva in quelle settimane fa venire i brividi ancora oggi. Da quell’evento in poi, Torino si è aperta al mondo, turisticamente e forse anche culturalmente scrollandosi di dosso la patina di grigia città industriale.
In Delitti senza fissa dimora poi gioco un po’ con i luoghi più antichi e misteriosi della città, sfruttando la sua nomea di città esoterica e misteriosa, cose a cui non credo affatto, ma che sono un bell’ingrediente per arricchire una storia di misteri.
Quanto la fantasia delle storie si avvicina alla realtà di oggi?
Dipende da quello che scrivo. L’ambientazione relativa alle prostitute è frutto della fantasia, ma credo di aver descritto persone, relazioni e situazioni assolutamente verosimili, direi purtroppo.
Per quello che riguarda il serial killer, anche i “miei poliziotti” lo dicono durante le loro indagini, per fortuna in Italia ce ne sono stati pochi. Un po’ perché non siamo tanti come in America, un po’ perché fortunatamente non abbiamo la terribile cultura delle “armi a portata di mano” che vige in quel paese. Quindi diciamo che sono molto contento che questo aspetto della mia storia sia assolutamente legato alla fantasia.
In altri romanzi capitano altre vicende e spesso, devo dire, anche inconsapevolmente ho scritto e inventato cose che poi ho scoperto essere successe veramente. Insomma, un romanziere spererebbe che non fosse sempre così, ma spesso capita.
Comunque l’ispirazione spesso arriva da fatti di cronaca che poi chi scrive arricchisce e modifica, quindi sì il legame con la realtà c’è.
Dopo tanti romanzi usciti con delle case editrici, a cosa è dovuta la scelta di cercare la via dell’autopubblicazione?
Guarda Dario, dopo aver provato due esperienze con piccoli editori, non piemontesi, per l’ultimo libro stavo cercando un editore locale disposto a pubblicare questo romanzo, soprattutto per avere dei contatti più ravvicinati e umani con chi cura la pubblicazione del libro, ma anche per organizzare meglio presentazioni, fiere e quant’altro, ma ci sono state alcune difficoltà. Principalmente la storia narrava della Squadra T di cui avevo appunto già pubblicato altre indagini con altri editori e chi pubblica non sempre è disponibile a pubblicare racconti di personaggi già editi dalla concorrenza; un altro scoglio è stata la dimensione del volume che non è piccolissimo e il costo della carta – come di qualsiasi altro prodotto, ahimè – è aumentato tantissimo nell’ultimo periodo. E anche questo non ha facilitato la conclusione dell’accordo editoriale.
D’altro canto era da un po’ che volevo provare questa esperienza del self-publishing e quindi alla fine ho optato per quello di Amazon.
Sicuramente ci sono degli aspetti positivi: prima tra tutti l’indipendenza dell’autore che può scegliere liberamente titolo, copertina, prezzo, data di uscita, ecc. In secondo luogo, almeno con Amazon, si cominciano a percepire le royalty mese per mese, dopo due mesi dalla pubblicazione e devo dire che non è male. Tutto è sotto il controllo dell’autore da quel punto di vista.
Tutti questi alti positivi, però, possono essere ribaltati e l’indipendenza può trasformarsi in solitudine e in mancanza di qualsiasi riferimento per chi scrive.
In più, almeno la pubblicazione su Amazon, garantisce solo le vendite attraverso quel canale, quindi è impossibile ordinare il tuo romanzo in una normale libreria.
Insomma, come in tutte le soluzioni, ci sono pro e contro.
Per il prossimo lavoro sto comunque cercando un nuovo editore, locale appunto, perché tutto sommato mi piace avere rapporti con le persone anche quando si tratta di pubblicazioni.
Antonio ti ringrazio per essere stato ospite del nostro blog e ci congediamo con le ultime due domande: Ci dobbiamo aspettare un nuovo romanzo in uscita?
Proprio in questi giorni ho finito la seconda stesura di una nuova “creatura”. È una storia completamente nuova, ambientata principalmente nel 1955 in un quartiere periferico di Torino in cui operavano i lavandai, che si occupavano di lavare i panni dei cittadini del centro della città, o almeno di quelli che se lo potevano permettere.
Ho descritto un mondo particolare, una comunità a sé stante ovviamente mixando la storia reale con la fantasia e ho descritto il quartiere e i suoi abitanti poco prima del declino della loro attività. Naturalmente tutto ciò fa da sfondo a una trama gialla, ma si tratta di un giallo molto più intimo, più simile al “Il padre imperfetto”.
Infine ti chiedo mi sapresti dire tre romanzi a cui sei particolarmente legato e che hanno formato anche la tua carriera di scrittore?
Il primo romanzo che mi viene in mente è Niente di nuovo sul fronte occidentale. Non c’entra niente con i gialli e non so se può aver condizionato il mio modo di scrivere, ma è sicuramente il primo libro “serio” che ho letto durante le scuole medie e che mi ha colpito per i temi trattati.
Se vogliamo rimanere però nel genere giallo, sicuramente la mia passione per i mistery è nata e si è sviluppata a partire da Conan Doyle e anche dai polizieschi di Poe: i Delitti della Rue Morgue e Sherlock Holmes mi hanno sicuramente iniziato al genere e me ne hanno fatto innamorare. Devo dire che da giovane mi sono molto divertito a leggere i romanzi di Ken Follett. Senza citarne uno in particolare, credo che il suo modo di scrivere mi abbia abbondantemente condizionato, specialmente nel modo in cui riesce a creare suspense e a tenere alta la tensione.