CHRISTIANNA BRAND

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Christianna Brand, all’anagrafe Mary Christianna Milne, nacque nella Malesia britannica il 17 dicembre 1907 e trascorse la sua infanzia in India. Dopo la morte della madre, fu  mandata in Inghilterra nella famiglia del cugino Edward Ardizzone, col quale instaurò un duraturo rapporto di amicizia. Qui passò il resto della sua infanzia e l’adolescenza, studiando in un collegio di suore a Devon, finché, all’età di diciassette anni, in seguito al tracollo finanziario del padre, fu costretta a guadagnarsi da vivere facendo la governante, la receptionist notturna, la modella, la segretaria e la commessa di negozio.

 

Proprio durante quest’ultimo impiego, ispirata dalle fantasie omicide che nutriva nei confronti di un’odiosa collega, iniziò a scrivere il suo primo giallo, Death in High Heels (La morte ha i tacchi alti), imperniato su un delitto avvenuto tra ragazze in un negozio di vestiti a Londra. Il romanzo, più volte abbandonato e ripreso, e rifiutato – pare – quindici volte dalle case editrici, fu infine pubblicato nel 1941, due anni dopo il matrimonio della Brand con Roland Lewis, un chirurgo londinese col quale poi adottò una figlia, Victoria.

 

Il buon successo del libro –  avente come protagonista l’ispettore Charlesworth, destinato però a breve vita narrativa – indusse la scrittrice a continuare nel genere mystery. Seguì così, nello stesso 1941, Heads You Lose, in cui fece la sua prima apparizione il personaggio ricorrente nei gialli della Brand, quell’ispettore Cockrill della polizia della Contea del Kent ispirato alla figura del suocero e presente in altri cinque romanzi successivi, fino a Tour de Force del 1955. Elenchiamo dunque questi gialli, con le relative edizioni italiane, quasi tutte Mondadori (nei Gialli [GM] o nei Classici del Giallo [CGM]):

 

– 1941, Death in High Heels (La morte ha i tacchi alti, GM n. 140, 1951; CGM n. 975, 2003);

– 1941, Heads You Lose (Cockrill perde la testa, CGM n. 890, 2001; poi in Il lungo braccio della legge, Gli Speciali del GM n. 95, 2020);

– 1944, Green for Danger (Delitto in bianco, CGM n. 443, 1984; CGM n. 1319, 2013);

– 1946, Suddenly at His Residence, titolo americano The Crooked Wreath (Uno della famiglia, Milano, Polillo, collana I Bassotti n. 39, 2006);

– 1948, Death of Jezebel (Morte di una strega, GM n. 2382, 1994; CGM n. 1232, 2009):

– 1952, London Particular, titolo americano Fog of Doubt (Quel giorno nella nebbia, GM n. 1305, 1974; CGM n. 786, 1997);

– 1955, Tour de Force (Tour de Force, CGM n. 1164, 2007).

 

Non dimentichiamo però che la Brand scrisse anche un unico romanzo con l’ispettore Chucky, più melodramma neogotico che vero mystery, ricordato anche da Julian Symons nel suo Bloody Murder,

1950, Cat and Mouse (Il gatto e il topo, Novara, Mondadori-De Agostini, collana I Maestri del Giallo, 1991; Polillo, I Bassotti n. 78, 2010),

un solo giallo con lo pseudonimo di Mary Ann Ashe:

– 1977, A Ring of Roses (Il giardino delle rose, GM n. 1662, 1980; CGM n. 1396, 2017),

nonché due romanzi ancora inediti da noi, uno con l’ispettore Charlesworth (The Rose in Darkness, 1979), l’altro col beniamino Cockrill (Jape de Chine o The Chinese Puzzle). Sempre con l’ispettore Cockrill è anche la raccolta di racconti, postuma e altrettanto inedita, The Spotted Cat and Other Mysteries from Inspector Cockrill’s Casebook (2002), che suggeriamo infine a un editore italiano interessato.

 

Negli anni Cinquanta la Brand decise di abbandonare la produzione di mystery, e infatti – a parte alcuni racconti poi raccolti nei due volumi inediti da noi What Dread Hand? (1968) e Brand X (1974) – le opere successive risultano di genere diverso e anche con vari pseudonimi (Mary Roland, China Thompson, Annabel Jones…), dal romanzo storico a quello femminile, dal fantasy al libro per ragazzi. A quest’ultima categoria appartengono il “juvenile mystery” Welcome to Danger, edito anche come Danger Unlimited (1949), ma soprattutto l’antologia Naughty Children del 1962, illustrata dal cugino pittore Edward Ardizzone, in cui ebbe particolare successo una storia con l’infermiera Matilda, personaggio ispirato dalle novelle che suo nonno inventava e le raccontava ogni sera. Proprio su Tata Matilda si incentrò successivamente una fortunata trilogia uscita da noi per le Edizioni Paoline (Nurse Matilda, 1964; Nurse Matilda Goes to Town, 1967; Nurse Matilda Goes to Hospital, 1974), dalla quale furono tratti due film altrettanto fortunati, interpretati da Emma Thompson (Nanny McPhee – Tata Matilda, 2005; Tata Matilda e il grande botto, 2010), che purtroppo la Brand non poté vedere. La scrittrice morì infatti, dopo una lunga malattia, l’11 marzo 1988, all’età di ottant’anni.

 

Christianna Brand si configura come una rappresentante di spicco di quella narrativa proveniente da altre nazioni del Commonwealth senza essere britannica pura, come per esempio i neozelandesi Ngaio Marsh e Norman Berrow o l’australiano Arthur Upfield. La Brand tuttavia, anche per il fatto d’esser stata molto eclettica nei ruoli svolti fino al successo e per esser stata capace di mettersi sempre in gioco in mansioni diverse, ha riversato nei suoi romanzi una verve e una vivacità assenti in autori come quelli citati, più rigorosi e un po’ più raffinati, ma non così originali nelle soluzioni stilistiche e nei plot. “Bisogna arrivare ai Grandi, a nomi importanti come Agatha Christie, John Dickson Carr, Ellery Queen” ha confermato del resto il critico Anthony Boucher, “per trovare i rivali della Brand per la sagacia e l’acutezza dimostrate nello scrivere.”

 

Specialità riconosciuta della Brand, infatti, appare l’abilità nell’invenzione di trame ingegnose, nella tessitura di falsi indizi e nella sperimentazione di strategie peculiari, come in London Particular del 1952 (Quel giorno nella nebbia), dove l’indizio fondamentale è nascosto nel paragrafo iniziale. Un segno distintivo del suo stile narrativo è poi l’avvicendarsi di situazioni misteriose, e il susseguirsi di molteplici colpevoli, allusi e scartati volta per volta. Il lettore per tutta la durata del romanzo si trova così col fiato sospeso perché l’identificazione del colpevole è quasi sempre inaspettata, e il finale inatteso: il tutto nel rispetto dei requisiti essenziali di un mystery ottimale secondo il giudizio di Leonardo Sciascia, consistenti nella capacità di tendere il mistero il più lungamente possibile e, appunto, nell’imprevedibilità della soluzione finale.

 

Se il primo protagonista della Brand fu l’ispettore Charlesworth, in Death in High Heels, fu però con un altro ispettore, Cockrill, che la scrittrice raggiunse il successo, a partire da Heads You Lose del 1941 e soprattutto con Green for Danger (Delitto in  bianco) del 1944, che molti considerano  il suo capolavoro e da cui, due anni dopo, il regista inglese Sidney Gilliat trasse il film omonimo. Qui Cockrill è chiamato a indagare all’interno dell’ospedale militare di Heron’s Park, dove il paziente Joseph Higgins, il postino del paese, è morto in sala operatoria sotto gli occhi di sette testimoni. Ma il decesso, apparentemente accidentale, si rivela in realtà un omicidio – a cui ne seguiranno altri – e ci vorrà tutto l’acume e la pazienza dell’ispettore per smascherare il colpevole e svelarne il movente.

 

Tratteggiato secondo i caratteri del poliziotto tradizionale. Cockrill non manca peraltro di eccentricità o di peculiarità: si veste spesso in modo sciatto, è un accanito fumatore, è soggetto a scatti d’ira, ma a questi aspetti umani associa grandi capacità di osservazione e di deduzione, grazie alle quali risolve sempre anche i casi più difficili. Ne emerge così un esempio adeguato di eroe-arbitro dell’ordine e della responsabilità morale, consapevole che la ferita inferta al contesto sociale e familiare dall’omicidio non può mai essere completamente sanata, ma almeno compensata dalla consegna dell’assassino alla giustizia. Le indagini di Cockrill, in definitiva, si svolgono nel solco di quelle praticate dai poliziotti solitari dotati di ingegno, che appartengono a una tradizione letteraria precedente rispetto ai metodi più tecnici e scientifici dei detective dei romanzi moderni.

 

Se Delitto in bianco resta il giallo più famoso della Brand, è Death of Jezebel (Morte di una strega) del 1948 che ha stimolato anche di più l’acume interpretativo dei critici, alcuni dei quali l’hanno incluso, anni fa, in un elenco delle “migliori 99 Camere Chiuse” della storia del Giallo. Qui la tendenza canonica del mystery ad aprirsi con la presentazione dei personaggi e dei loro fortissimi contrasti (esemplare, al riguardo, la Christie di Assassinio sul Nilo o La domatrice) appare stravolta già nelle prime due pagine, col suicidio drammatico di un giovane, raggirato, per amore, e col giuramento di vendicarlo da parte di qualcuno. E colpevole è appunto Isabel, l’odiosa “strega” che tutti chiamano col nome di Jezebel (allusivo alla regina della Bibbia nemica del profeta Elia, o alla finta profetessa dell’Apocalisse di Giovanni) e che verrà uccisa in una platea di teatro sotto gli occhi di tutti, al modo clamoroso già di Delitto in bianco nonché di altri noti modelli, da Ellery Queen alla stessa Christie (Ventimila hanno visto, La poltrona n. 30 o Tragedia in tre atti). E se Jezebel viene strangolata, una seconda vittima viene addirittura decapitata, modalità omicida – questa – possibile retaggio di antichi usi del Borneo (coi daiachi tagliatori di teste) in cui la Brand aveva abitato da bambina, e/o connessione con l’Ellery Queen de Il mistero delle croci egizie.

 

Per concludere, ogni plot della Brand richiama il clima tipico della Golden Age – quegli anni Trenta e Quaranta davvero d’oro per il mystery inglese – ma al tempo stesso se ne discosta per alcune peculiarità di rilievo. E ci piace congedarci da lei con una curiosità non del tutto oziosa, che l’ottimo De Palma (www.lamortenonsaleggere.myblog.it), gran conoscitore della Brand, non ha saputo soddisfare: è possibile che di questa Morte di una strega, intitolata così nel Giallo Mondadori del 1994, si sia ricordata la nostra brava giallista Laura Toscano nella sua Morte di una strega, edita dallo stesso Mondadori nel 1996? La coincidenza titolistica a un solo biennio di distanza, e qualche analogia di carattere dei personaggi, potrebbero indurre a ipo

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