Quattro stagioni per vivere
Per sostentare la madre malata, Osvaldo ha bisogno di carne, e parte a caccia di camosci. Si prepara a passare parecchio tempo nel freddo del bosco, quando si imbatte in quello che sembra un enorme colpo di fortuna. Un camoscio appena ucciso, e sepolto nella neve dai cacciatori, che verranno a riprenderselo. Osvaldo cede alla tentazione, e prende il camoscio. Non ci vorrà molto perché i legittimi proprietari, i gemelli Legnole, due brutte persone, di corpo e di anima, e per di più stupide, vengano a sapere chi ha rubato il loro camoscio. E decidono che il colpevole dovrà pagare con la morte. Inizia così per Osvaldo un anno di vita in mezzo ai boschi e alle montagne, tra agguati, pedinamenti, rischi mortali, in fuga dalla ottusa follia dei gemelli, fino al sorprendente finale. Mauro Corona, ispiratissimo, ci regala un romanzo travolgente, ricco di colpi di scena, e animato da personaggi tanto realistici quanto archetipici. Attraverso la fuga di Osvaldo, Corona racconta lo scorrere delle stagioni, costruisce un romanzo di colori (il bianco della neve, il rosso dell’autunno, il giallo dell’estate) e riflette sul potere salvifico della natura: Osvaldo, anche se in fuga, anche se braccato, anche se affamato, sarà felice in mezzo ai suoi boschi.
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Mauro Corona, fedele al suo stile ben noto, affronta il tema dell’evoluzione personale di un uomo datosi alla macchia per sfuggire a due pessimi soggetti che intendono ucciderlo per futili motivi, decide di trovare rifugio nei boschi rimanendovi per un anno intero.

È il racconto di un mondo popolato da individui in grado di sopravvivere in mezzo alla natura, in cui è considerato normale il possesso di armi da fuoco. Difficile da immaginare per noi, abituati a pensare all’uomo moderno come una creatura ormai imbelle e avvezza a ogni comodità,  incapace di adattarsi a uno stile di vita, in un certo modo, arcaico.

Durante le quattro stagioni dell’anno Osvaldo, tra le scaramucce con i gemelli Legnole (i suoi persecutori) e le fatiche di una vita priva degli agi di una casa, e sempre col timore di essere trovato e ucciso si accorge, poco per volta, di sentirsi in comunione con la natura intorno a sé in un ambiente per lui caratterizzato dalle tre esse: selvaggio, severo e silenzioso.

In una solitudine rivelatrice di tante verità. Cacciatore da sempre, inizia ad avere sugli animali uno sguardo nuovo, essi diventano amici, presenze di compagnia e conforto nella solitudine.

La narrazione avviene in prima persona con un realismo che suggerisce un certo di grado di autobiograficità. Non si può escludere che un’esperienza di vita simile sia stata davvero vissuta da Corona.

Ho apprezzato molto il linguaggio originale usato per la descrizione di luoghi e sensazioni, capace di rendere presenti al lettore le scene disegnate senza cedere mai alla tentazione di usare una frase fatta.

Ogni tanto, districandosi dalla morsa del gelo, una pietra cadeva lontana con un tonfo pieno di domande. Erano le notti gelide della montagna, ma chi crede che neve e freddo la facciano tacere si sbaglia. Esiste il pacifico, solenne silenzio dell’inverno. Un mistero che avvolge la natura. Ma dentro, nei dettagli, ascoltando i particolari, si odono voci. È come una chitarra lasciata su pavimento. Non suona, se ne sta muta, ma se qualcuno le cammina vicino i passi la scuotono e si possono percepire le corde vibrare.

Un romanzo di formazione diverso perché ha come protagonista un uomo di cinquantasei anni. Non c’è un’età in cui si finisce di imparare e crescere. Dipende tutto da noi.

Incipit: Novembre. Sto accucciato ai piedi di un abete bianco, le mani dietro la testa. Sopra il bosco, tonda e chiara, la luna di novembre. Mi sta guardando, bella e luminosa, non fa freddo, pensavo peggio.
Quassù, a milleottocento metri di quota, la luna si muove, vuole vedermi il muso. Forse le faccio pena, cerca di aiutarmi. Per adesso me la cavo, ma temo l’inverno. Quando i cani del gelo morderanno il mio corpo mi chiedo come farò a resistere.

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