“Loro” di Roberto Cotroneo edito da Neri Pozza consegna alla società un prezioso libro che mischia l’ordine con l’irrazionale, il realismo con l’interpretazione di esso. Lo stile è fluido e potente mentre trascina il lettore in una parabola sulla vita e le sue ombre. Se volessimo raccontare la struttura narrativa di questa storia la potremmo paragonare a un filo che lentamente, in modo delicato ma lacerante si sfilaccia, si assottiglia, fino a perdere la sua identità. Un ingranaggio fatto ad hoc, una struttura solida che non dà scampo a domande, dubbi e riflessioni. In questo libro troviamo un significato esaustivo del termine perturbante. L’autore è bravo a rendere il familiare-estraneo e l’estraneo-familiare generando un senso di angoscia che culmina in un senso di profonda perdizione e disorientamento.
La storia ci parla di Margherita che viene assunta come baby sitter presso la famiglia Ordelaffi, per prendersi cura di due gemelle quasi perfette. Lucrezia e Lavinia. La protagonista, Margherita, entra a far parte di una casa perfetta, incontra genitori perfetti che vivono una vita perfetta. E poi ci sono “Loro” che confondono il passato e il presente in una strana dinamica di specchi e di sguardi. Il senso dell’angoscia e dell’inquietudine non tarda ad arrivare e lo fa lentamente senza che il lettore se ne accorga.
Un direttore d’orchestra, un grande occhio, che controlla, che spinge, che evoca e cuce un precario equilibrio sul male. Il lettore, fra le pagine, si accorge che qualcosa s’infila sotto la pelle facendolo sentire osservato e senza vie di uscita. Come Margherita.
“Loro” chi?
Questo è quello che ci chiediamo lungo tutta la storia in modo quasi ritualistico.
Sagome che hanno il dominio e che inclinano le menti più sane. Ed è proprio sulla mente sana che Margherita si aggrappa, cerca di comprendere, cerca di restare radicata e lucida nonostante il vortice la stia risucchiando.
In questo libro, Cotroneo, narra di una Margherita che racconta come sia indispensabile non impazzire quando il seme del male si fa spazio nella carne, quando i corridoi labirintici della mente si inceppano e ci fanno diventare pupazzi manipolati da un gioco apparentemente senza cattivi.
La protagonista però cerca di salvare e non di salvarsi ed è qui che la scrittura dell’autore si fa sottile per poter farci entrare nella psicologia della mente umana e scandagliarla attraverso non detti, sguardi complici, risa ed espressioni sottese. Il ritmo è incalzante ma tutto sembra fermo, rallentato, come una delicata discesa nell’orrore. L’arte del perturbante (l’effetto estraniante, l’ambiguità, l’ignoto, lo spaesamento, il tema del doppio, il senso di angoscia) in questa storia prende una posizione di rilievo, perché evocare il senso di paura nelle cose quotidiane non è semplice. E lo scrittore ci riesce perfettamente con una scrittura lineare, senza eccessi e lucida.
Tantissime sono le affinità con il romanzo gotico, tra il romantico e l’orrore, l’esoterico e il magico, descrivendo un ambiente cupo, nero, pieno di conflitti interiori. Il tutto tenuto in piedi da sorrisi che diventano ghigni, da stagni che diventano abissi.
Un omaggio alla grande letteratura.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro. A luce accesa.