Bel libro, consigliatissimo. Perché? Prima notazione: per la storia.
Un eterno Peter Pan il protagonista trentenne Marcello Gori, che si arrabatta con lavoretti in nero, con una fidanzata storica, Letizia, ricca, concreta, senza troppe illusioni che lo mette spesso davanti allo specchio della sua anaffettività, degli amici vitelloni di provincia (Viareggio in questo caso), senza molte prospettive, genitori separati con una madre insegnante d’arte e un padre gestore di bar nel quale vorrebbe coinvolgere il figlio senza successo. Per una serie di circostanze fortuite partecipando a un concorso all’Università di Pisa, ottiene un dottorato di ricerca per tre anni alle dipendenze di uno dei classici baroni accademici, il “chiarissimo” Raffaele Sacrosanti, manipolatore sapiente e affascinante, che gli affida il compito di studiare e preparare una tesi su un letterato locale morto da poco dopo anni nelle patrie galere: Tito Sella, ex anarchico terrorista negli anni di piombo. L’archivio dei documenti si trova, come si confà ai rivoluzionari di quegli anni, a Parigi ed è giocoforza per il nostro dottorando recarvisi per le ricerche di una autobiografia, La Fantasima, di cui si vocifera.
La descrizione del mondo universitario con i giochi di potere, alleanze, tradimenti, servilismi e ripicche da cortile varrebbe già l’intero libro, godibilissimo, con una scrittura feroce e leggera allo stesso tempo, ma qui interviene la seconda notazione: l’abilità nella scrittura.
Eh sì, perché Ferrari cambia completamente registro, passa alla terza persona, abbandona la satira e l’ironia, il sarcasmo feroce a cui ha abituato il lettore per le prime duecento pagine e scrive un romanzo nel romanzo affrontando in un lungo flash-back gli anni settanta di Viareggio, il contesto sociale, i cantieri navali, la contestazione e la nascita della Brigata Ravachol, gruppuscolo anarcoide fondato da una compagnia di amici dell’oratorio: Miro, Romano, Giorgio, Athos, Tito a cui poi si aggiungono Emma e Barabba che, partendo da un inizio goliardico, finiscono a compiere azioni sempre più criminali per ottenere giustizia sociale fino a un epilogo disastroso e tragico con Sella finito in prigione per venticinque anni. Il tutto narrato con estrema accuratezza e con una immersione non pedante nell’atmosfera di quegli anni e nella situazione sociale della provincia toscana.
Il libro torna a Marcello che a Parigi studia le carte di Sella. Man mano la personalità del terrorista “spirituale” emerge dai documenti, il protagonista si identifica sempre di più con lui colpito da una profonda empatia personale più che sociale e arriva a scoperte impreviste con un colpo di scena finale veramente inaspettato e spiazzante.
L’autore è abilissimo a mescolare con perizia passato e presente, personaggi e stili di scrittura (non mancano peraltro rimandi letterari coltissimi). La storia è avvincente, ogni personaggio, anche i minori, ben rappresentato e realistico, i dialoghi frizzanti così come le riflessioni del protagonista e le due generazioni raccontate pur così lontane tra di loro nel tempo, sembrano accavallarsi per incompiutezza e nichilismo nonostante il soprassalto finale. L’autore strizza l’occhio ai vari inetti della letteratura, ma il suo protagonista alla fine mostra il suo modo personale di partecipare. Insomma un vero peccato non leggerlo.