Recensione a cura di Roberta Castelli
Ho acquistato questo libro appena è uscito, volevo che fosse subito mio, ma solo adesso ho trovato il coraggio di leggerlo. Sapere che è l’ultimo, perché Zafón non è più tra noi, mi ha obbligato a procrastinare, prolungando il piacere dell’attesa. Lo amo da quando, per caso, mi sono ritrovata a leggere “L’ombra del vento”, un romanzo che prende a morsi l’anima e non la lascia andare. Rapita e inebriata dalle sue parole, ho completato la serie de Il cimitero dei libri dimenticati, passando poi alla Trilogia della nebbia senza dimenticare “Marina”. Ogni sua pagina ha la capacità di risucchiare chi legge in un mondo quasi irreale, dove la luce sembra perdere contro il buio ma si ha comunque la sensazione che la fiammella della speranza non smetta di ardere.
“La città di vapore” è una raccolta postuma, che va ad arricchire la meravigliosa eredità letteraria ricevuta in dono. Contiene undici racconti – alcuni già pubblicati in dei periodici, altri inediti – che racchiudono l’essenza di una penna straordinaria. In “Blanca e l’addio”, racconto che apre l’antologia, ritroviamo David Martín, già protagonista nella serie Il Cimitero dei libri dimenticati.
“Ho sempre invidiato la capacità di dimenticare che possiedono alcune persone per le quali il passato è come un cambio di stagione, o come un paio di scarpe vecchie che basta condannare in fondo a un armadio perché siano incapaci di ripercorrere i passi perduti. Io ho avuto la disgrazia di ricordare tutto e che tutto, a sua volta, ricordasse me”. (Blanca e l’addio – Dalle memorie mai accadute di un certo David Martín, pag. 13)
E proprio grazie a questi suoi ricordi lo ritroviamo bambino, intento a rincorrere storie e ammaliato da Blanca, la sua prima lettrice, il suo primo pubblico.
In “Rosa di fuoco” incontriamo invece il costruttore di labirinti Edmond De Luna, arrivato a Barcellona su un vascello proveniente da Oriente, portando con sé il germe della maledizione che avrebbe tinto il cielo della città di fuoco e sangue. Di pagina in pagina, Zafón ci prende per mano e ci fa cavalcare epoche e dimensioni, muovendosi in uno spazio che non conosce confini, se non quelli che la sua mente ha voluto delineare.
Grande protagonista è, come sempre, Barcellona, città dove Zafón è nato e che non ha mai smesso di raccontare, pur vivendo a Los Angeles dagli inizi degli anni Novanta. L’amore verso la sua terra di origine, in questa raccolta, passa anche attraverso l’omaggio rivolto a due grandi personaggi spagnoli: lo scrittore Miguel de Cervantes (Il Principe del Parnaso) e l’architetto Antoni Gaudí (Gaudí a Manhattan).
Gli aspetti piacevoli della vita, rappresentati spesso da ammalianti donne o da candide bambine, vengono surclassati dalla mera realtà, che mostra un impietoso rovescio della medaglia. Povertà, guerre, malattie e ingiustizie partorite dalla maligna perversione dell’uomo, alimentano la nebbia che permea non solo le strade ma anche l’anima delle persone, tentando di fagocitare quel po’ di buono che prova con tenacia a resistere. Zafón è un maestro nell’arte di rivelare la capacità dell’essere umano di toccare livelli infimi e lo fa usando parole semplici ma chiare, che ci portano per forza di cose a riflettere.
“La caduta dei giusti arriva sempre per mano di quelli che più sono loro debitori. Non tradisce chi ci vuol fare affondare, ma chi ci tende la mano, sia pure soltanto per non riconoscere il debito di gratitudine che abbiamo nei suoi confronti.” (Una signorina di Barcellona, pag. 50)
La bellezza però, che sembra destinata a scomparire, rappresenta un filo conduttore importante, quasi fosse l’ultimo baluardo della speranza. La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij, e credo che anche il nostro amato Zafón la pensasse così. Noi tutti speriamo che sia vero, soprattutto in questi tempi bui.
“La bellezza e la conoscenza sono l’unica luce che illumina questo miserabile porcile che sono condannato a percorrere.” (Il Principe del Parnaso, pag. 79)
“…intuiva che se la vita non era un sogno era almeno una pantomima, dove la crudele assurdità del racconto fluiva sempre dietro le quinte, e non esisteva tra cielo e terra vendetta più grande e più efficace che scolpire la bellezza e l’ingegno a colpi di parole per scoprire il senso del nonsenso delle cose.” (Il Principe del Parnaso, pag. 83)
Chi ha letto i precedenti libri di Zafón avrà la sensazione di ritrovare dei vecchi amici e chi invece conoscerà questo autore per la prima volta, ne sono certa, vorrà recuperare tutto ciò che di lui è stato pubblicato. Come nel suo stile, anche in questo libro è molto sottile la linea che divide il mondo reale da una dimensione ultraterrena; il nono racconto, “La donna di vapore” che ho amato particolarmente, ne è l’esempio perfetto. E proprio immaginando un confine tra i mondi, dove chi ha varcato la soglia rimane a osservarci, chiudo gli occhi e allungo una mano, per stringere forte quella di Zafón e dirgli GRAZIE! Non ti dimenticheremo mai.
“Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso.” (L’ombra del vento)