Protagonista de “Il Re di denari” di Sandrone Dazieri, terzo romanzo di una serie iniziata con “Uccidi il padre”, proseguita con l'”Angelo” e destinata ad allungarsi, è un maniaco crudele, che rapisce (o compera, il che non fa una gran differenza) fanciulli per tenerli in disumane condizioni di segregazione. Poiché a causa delle stesse, o per le pulsioni omicide del maniaco, molti di questi muoiono, costui è anche a tutti gli effetti un serial killer.
Il suo soprannome è “Il Padre”, sia perché così si fa chiamare dalle sue vittime, sia perché incarna uno dei simboli più importanti dell’antropologia umana: il genitore, primo ancestrale rappresentante del Potere, ovvero dell’autorità che si impone anche contro il volere altrui. Naturalmente il Padre, quando i figli ne elaborano la figura e il ruolo, si rivela come l’autorità buona, che predomina sulla prole nel suo interesse, instradandola sulla retta via.
Il Padre di Dazieri è la degenerazione maligna del genitore, che infierisce sui figli per pura crudeltà.
Fino a un certo punto.
Infatti, i fortunati che riescono a scampare alla terribile prigionia, forgiati dalla vessatoria solitudine, sviluppano, pur segnati nel fisico e nella psiche, capacità eccezionali.
È il caso di Dante Torre, uno dei “figli” che, nel primo romanzo, viene avventurosamente sottratto alle grinfie del Padre e diventa un’arma potente in mano agli inquirenti per la sua intelligenza superiore e, soprattutto, per i sensi, in particolare l’olfatto, affinati da lunghi anni trascorsi al buio nell’immobilità.
Del Padre ci si incomincia ad occupare non propriamente per metter fine alla sua ferocia verso innocenti creature, bensì perché la sua perversione, per svilupparsi nella scala richiesta dall’ego distorto del criminale, abbisogna di una costosa organizzazione. Così il Padre si finanzia offrendo a pagamento i propri servigi alla criminalità e al terrorismo internazionale, dei cui intrighi diventa complice e sotterraneo manipolatore.
A rigore, il Padre sarebbe morto nel primo romanzo, ma la sua ombra si allunga in quelli successivi in quanto, non potendo far tutto da solo, ha lasciato collaboratori ed eredi, alcuni dei quali verosimilmente ex figli deviati, al contrario di Dante Torre, che si adopera per estirpare l’orribile macchina di dolore e sopraffazione messa in piedi dal suo carnefice.
Al fianco di Torre agisce un personaggio femminile, Colomba Caselli, una poliziotta energica e brillante, animata da uno spirito di giustizia altrettanto forte, ma disincantata dalla consapevolezza che i giochi che ruotano intorno al Padre e alla sua organizzazione sono inquinati da torbidi interessi politici ed economici.
L’anomala coppia, all’inizio del romanzo, sembra definitivamente separata.
Nel finale de “L’Angelo”, infatti, Colomba era rimasta gravemente ferita in un sanguinario attentato terroristico (ammesso che fosse veramente tale) a Venezia, mentre Dante è stato imprevedibilmente e incomprensibilmente rapito da un individuo ambiguo, Leo Bonaccorso, in apparenza alleato di Colomba e Dante per impedire la strage. Leo, invece, ha lavorato sottobanco perché non fosse fermata, o addirittura ne è complice.
Il “Re di Denari” racconta gli eventi successivi all’attentato veneziano, caratterizzati dalla ricerca di Dante Torre e dalla caccia a Leo Bonaccorso, l’erede principale del Padre o, più probabilmente, uno dei due delfini in lotta per la successione. L’altro è, appunto, l’altrettanto misterioso “Re di Denari”.
Come nei primi due capitoli della trilogia la storia si dipana, con ritmo serrato, tra continui colpi di scena, ribaltamenti imprevedibili e l’aprirsi di nuovi fronti.
I capitoli sono brevi e nervosi, con descrizioni accurate e dialoghi pregnanti.
A un certo punto, poco prima della fine, si ha l’impressione che tutta quella vertiginosa e vorticosa sequenza di svolte narrative non possa approdare ad una conclusione degna delle premesse.
Invece, non è affatto così. Il finale è la parte migliore.
Dazieri, conosciuto per la serie “hard-boiled” del “Gorilla”, in felice equilibrio tra l’umoristico e il fantasioso, dimostra di aver imboccato con piena padronanza e originalità la strada del thriller di mistero ed azione, creando un intreccio che, pur ambientato in Italia, non ha niente da invidiare agli esempi anglosassoni.