Il canto dell’upupa
In Sicilia il rosso la fa da padrone. Rosso delle arance che crescono rigogliose, rosso dei fichi d’india maturi, rosso del sole che la infuoca, delle passioni che infiammano i suoi abitanti. Anche il rosso del sangue che ne macchia la terra. Come quello del cadavere con cui deve fare i conti Saverio Bonanno, maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, animo sanguigno e qualche chilo di troppo. Il pestaggio sospetto d’un noto pappone sa di lezione, ma in Sicilia nulla è come appare e a complicare la vita al maresciallo ci si mette quel cadavere con la testa fracassata. Troppo amico dei bambini, sussurrano i bene informati. Lo sbirrume pizzicantino di Bonanno però dice altro, fiuta l’aria, percepisce a pelle carrettate di rogne. E lui ha imparato a fidarsi del suo istinto. Quando poi entrano in scena l’upupa, col suo canto cupo e lugubre, e Salomone, che invade la rete con la promessa della venuta di un nuovo millennio, e nomi altisonanti, di gente intoccabile, le domande si moltiplicano. Tra false piste, bambini dagli occhi tristi, una focosa assistente sociale e diversi ricatti, Bonanno si farà largo tra le fitte trame di un crimine che poco ha che fare con lupare e pistole, e più col buio dietro i nostri occhi. E cercherà di far luce anche lì dove l’oscurità predomina. Con “Il canto dell’upupa”, l’irascibile protagonista in uniforme uscito dalla penna di Roberto Mistretta, conferma la sua indole bonaria e indomita. L’autore riesce a compiere il miracolo di guardare con ironia anche le vicende più crude, innestando su una trama abilmente costruita nel segno della denuncia civile, situazioni in cui i personaggi si muovono con originale e spiazzante leggerezza. Nella migliore tradizione del giallo siciliano.
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Recensione a cura di Massimo Ghigi

A volte penso che l’editoria noir/giallo/thriller italiana si un po’ troppo ricca di protagonisti delle forze dell’ordine, troppi commissari, ispettori e così via; poi però mi capitano tra le mani libri come questo di Roberto Mistretta che mi fa dire convinto: “Ma sì! Ben venga anche il buon maresciallo Bonanno!”.

Uno dei punti forti de Il canto dell’upupa sta proprio nella caratterizzazione del protagonista, un maresciallo dei carabinieri Saverio Bonanno, che conquista subito il lettore; non siamo al cospetto di un carattere forte, e magari sopra le righe, come può essere quello di altri illustri personaggi della letteratura poliziesca italiana, bensì la forza di Bonanno sta proprio nel suo essere normale, nella sua umanità e nella tenerezza che è capace di suscitare.

Il lettore è fatto partecipe della vita di tutti i giorni, della quotidianità del maresciallo in compagnia di sua madre e della figlia dodicenne Vanessa oppure insieme ai suoi sottoposti più o meno brillanti e alcuni decisamente esilaranti come il fanatico per le auto e la velocità brigadiere Attilio Steppani!

La trama poliziesca si dipana tra un misterioso pestaggio ad un delinquente di mezza tacca in odore di sfruttamento della prostituzione e l’altrettanto misterioso assassinio di un elettricista che, addirittura, sembra coinvolto in un giro di pedofili!

Roberto Mistretta è molto bravo nel trasmettere il disgusto e la sensazione di marcio che attanaglia il maresciallo Bonanno alle prese con il mondo sordido della pedofilia; pagina dopo pagina si sente l’angoscia e il senso di impotenza che prova il protagonista davanti ad una piovra, ad un’organizzazione che sembra irraggiungibile e intoccabile, coperta da sistemi informatici sofisticati e difficilmente violabili.

Non mancano momenti di tenera goffaggine del nostro maresciallo, stregato dalla bella assistente sociale Rosalia, che gli fanno riscoprire l’amore e che, ancora una volta, rendono decisamente simpatico il personaggio.

In conclusione, lettura scorrevole che mi ha senz’altro piacevolmente conquistato e mi ha fatto venir voglia di recuperare anche la prima avventura del nostro maresciallo Bonanno!

Alla prossima!

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