Figlia del temporale
È il 1974, Hira ha tredici anni ed è appena rimasta orfana. Deve lasciare la sua città, Tirana, e la casa in cui è cresciuta per raggiungere gli unici parenti disposti ad accoglierla. La famiglia dello zio Ben vive in un villaggio sui monti nel Nord del paese, una piccola comunità di pastori che sembra cristallizzata nel tempo, dimenticata persino dal regime comunista che da trent’anni tiene in scacco l’Albania. Lassù si vive ancora secondo i dettami del Kanun, il codice tradizionale della montagna. Piano piano Hira si adatta alla sua nuova vita: dalla cugina Danja impara a fare il bucato al fiume e a occuparsi degli animali, dal cugino Astrit a orientarsi nel bosco e a camminare in silenzio per ore. Astrit ha smesso di parlare quand’era bambino, da allora si esprime a gesti e ogni tanto sale sulle montagne e sparisce per giorni. Per questo al villaggio lo considerano strano, una specie di animale selvatico. Crescendo, Hira e Astrit trovano una lingua tutta loro per capirsi, fatta di sguardi, carezze e morsi che a volte sembrano baci. Quando a Hira viene imposto un matrimonio combinato, sceglie l’unica via di fuga ammessa dalla legge della montagna: rinunciare alla propria femminilità e diventare una burrnesh, una vergine giurata. E così a vent’anni prende il nome di Mael: si veste come un uomo, lavora come un uomo, beve e fuma come un uomo. L’intero villaggio la tratta – e la rispetta – come un maschio. Diversamente dai maschi, però, deve rimanere sola e casta. Eppure sotto la pelle di Mael talvolta riaffiorano, ribelli e vitali, i desideri e le emozioni di Hira. A quanta parte di ciò che siamo possiamo rinunciare per inseguire una vita che ci appare più libera? E di cosa è fatta quella libertà se non possiamo essere noi stessi alla luce del sole? Come i suoi personaggi, Valentina D’Urbano non ha paura di oltrepassare limiti e confini, di farsi domande dolorose e di cambiare pelle per rimanere fedele a se stessa. Il risultato è un romanzo coraggioso sul corpo e il desiderio delle donne e sul bisogno che la società patriarcale ha da sempre di controllarli. E, al tempo stesso, la più travolgente delle sue storie d’amore.
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Spiccioli di trama: il romanzo racconta la vita di Hira. Che a 13 anni deve lasciare Tirana, ed una famiglia che le ha permesso di vivere spensieratamente, perché rimane improvvisamente orfana. È rimasta sola, il fratellastro è lontano ed irrintracciabile e non ha parenti prossimi. C’è solo un fratello del padre, già deceduto tempo prima, che vive nel nord, a Sanje, sulle montagne fredde e poco ospitali. Hira è obbligata a trasferirsi continuando a sperare che il fratello la venga a “salvare”. L’integrazione è assai difficoltosa ma pian piano riuscirà a farsi accettare ed a comprendere quel modo di vivere, diverso anni luce da quello della città. Accetterà di buon grado gli usi e le tradizioni vigenti in quei villaggi sperduti. Instaurerà un forte legame con Astrit, il figlio dello zio che la ospita. Fino a quando una decisione importante potrebbe cambiare completamente la sua esistenza.

 

Punto di forza: tanti. Primo fra tutti l’aver raccontato una tradizione antica, di certo non solo albanese (fino a qualche anno fa apparteneva anche alla nostra cultura), che testimonia l’arretratezza di certi luoghi e che temo sia ancora viva. Poi anche la scrittura: solida, sicura, evocativa. Personaggi descritti in profondità. Non ci si annoia mai. Emozioni continue che come le montagne che descrive fanno su e giù nello stomaco. Un romanzo coraggioso, non banale che farà felici i suoi fans. Me per primo. Obbiettivamente ancora una prova maiuscola.

 

Punto debole: nessuno. L’unico neo è la conclusione del romanzo.

Finale: poteva essere diverso. La scrittrice aveva due opzioni. Ne ha scelta una. Per mia natura avrei scelto l’altra soluzione. Ha fatto felice chi non la pensa come me. Ma chi ha i miei stessi gusti è rimasto un po’ deluso. Per quanto mi riguarda il finale non costituisce la ciliegina sulla torta. Commercialmente è più valido ma per chi appartiene alla nicchia la ritiene un’occasione persa. Peccato.

Giudizio complessivo: ⭐⭐⭐⭐
libro bello, anzi bellissimo. La D’Urbano è diversa dagli esordi.
Per quanto mi riguarda non direi migliore perché le due fasi non sono comparabili. Sono eccellenti entrambe. Io ho amato profondamente i primi libri della D’Urbano. Mi sono entrati dentro, ha creato personaggi indimenticabili. Tre gocce d’acqua e Figlia del temporale sono due perle ulteriori che non appartengono a quella “storia”. La D’Urbano prosegue il cammino, non indugia su ciò le ha dato la fama. Con determinazione e capacità costruisce un romanzo che parla del coraggio e della risolutezza delle donne, della volontà di non farsi sottomettere, a costo di immense rinunce. Un romanzo maturo, forte. Scrittura solida. Penna coraggiosa e inconfondibile. Un romanzo che conferma il talento della scrittrice e la sua maturazione. Mezzo punto in meno per il finale.

 

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