Ho conosciuto e imparato ad amare il tennis grazie a Gianni Clerici. Le partite commentate da lui e Rino Tommasi erano, per me ragazzina, un vero spettacolo. Sapevo delle sue notevoli doti di giornalista ma non avevo mai letto un suo romanzo, fino a quando ho incontrato questa storia: “Diario di un parroco del lago”.
Cresciuto a Como in una famiglia borghese, il giovane Don Giovanni Castelli diventa parroco di Lezzeno, piccolo paese situato sul lago omonimo.
Spinto da un forte desiderio di svolgere al meglio la sua funzione di apostolato, il protagonista compie ogni sforzo per avvicinarsi alla realtà dei suoi parrocchiani: povera gente costretta a praticare il contrabbando per tirare avanti vedendo quest’attività che, va detto è illegale, come un mestiere qualunque, dove il pericolo di essere arrestati dalla finanza equivaleva a un “rischio d’impresa”.
Grazie alla sua sensibilità e capacità di ascolto il sacerdote ottiene la stima degli abitanti del paese, anche di quanti erano distanti dalla chiesa, come istituzione, diventando un punto di riferimento anche per confidenze di natura personale per le quali non era necessaria alcuna assoluzione.
La perdita del padre porterà Don Giovanni a un sofferto percorso di revisione delle sue scelte.
L’autore dà alla storia la forma di un diario in cui il curato racconta, in prima persona gli episodi salienti da lui vissuti nel periodo da lui trascorso a Lezzeno.
Colpisce quasi subito l’inserimento d’intere pagine scritte in dialetto tipico dei paesini del comasco (laghee), per dare forza e realismo alle parole e ai discorsi dei paesani. Anche Don Giovanni stesso, benché di gran lunga più istruito, si esprime in un modo caratteristico di quelle zone anche se più colto.
Quest’aspetto può costituire un limite per la comprensione da parte dei lettori che non vivono nell’Italia settentrionale e non ne conoscono le peculiarità linguistiche. È pur vero che il testo è supportato da note per le parti che possono creare maggiore difficoltà di comprensione.
Ho molto apprezzato lo stile di Clerici che ha dimostrato ancora una volta empatia e attenzione nel rappresentare i personaggi con i loro sentimenti e stati d’animo mentre ci fornisce un affresco di un mondo che ormai si è perso, ben rappresentato dalle riflessioni di un uomo che ha subito imparato ad apprezzare la lentezza della vita di paese e avverte un qualche disagio nello spostarsi in automobile, all’epoca privilegio per pochi.
Nei pensieri e nelle parole di Don Giovanni, troviamo tutta la sensibilità, la classe e la discrezione di Gianni Clerici: per me un esempio di stile ed eleganza.
Un testo di gradevole lettura che può essere d’ispirazione e, oso dire, insegnamento per gli autori che intendono, nel loro scrivere, dare una significativa caratterizzazione territoriale al loro racconto.